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domenica 5 dicembre 2010

Adro - Rimuoviamoli tutti

Sabato 4 dicembre si è tenuta ad Adro la manifestazione indetta dal comitato contro i simboli padani nella scuola. Infatti, contrariamente a quanto poteva sembrare agli impasturati dai mass-media, la questione non era (e non è, fino alla effettiva rimozione fisica) risolta in modo definitivo. Infatti al preside era stata lasciata in mano la patata bollente da parte delle autorità statali, che si erano sottratte alla assunzione di vere responsabilità nella contesa con il sindaco Lancinante. Voci provenienti dagli ambienti della dirigenza della scuola dicono infatti che la Prefetta era rimasta ferma alla sua proposta di "razionalizzazione", comparsa su tutti i giornali all'indomani dell'incontro in prefettura con il Sindaco. Che cosa significhi "razionalizzare" la presenza di un simbolo di un partito secessionista all'interno della scuola pubblica rimane un mistero. Dal canto suo il Direttore generale dell'Ufficio Scolastico Regionale, Giuseppe Colosio, mentre in televisione dichiarava di aver "ordinato" la rimozione, sui documenti ufficiali - gli unici che contano in campo giuridico-amministrativo - avrebbe usato la formula ambiguissima del "rispetto per le reciproche competenze". Bella trovata, dal momento che il Sindaco rivendicava appunto a se stesso la competenza sulla simbologia, anche all'interno della scuola.
Perciò l'ultimatum del comitato, che fissava al 4 dicembre il termine ultimo della rimozione, dopo di ché si sarebbe dato vita ad una azione suppletiva della latitanza delle autorità per una rimozione diretta dei simboli, rimaneva valido.
Nel frattempo però, esattamente martedì 30 novembre, si è avuta notizia della sentenza del tribunale del lavoro di Brescia, che ha condannato senza scusanti il Sindaco alla rimoziane dei simboli a spese integrali del comune, ricalcando in alcuni passaggi le argomentazioni contenute nell'esposto che il comitato aveva presentato al prefetto.
La sentenza del giudice è condizionata dalle specifiche richieste di chi ha fatto ricorso, cioè la CGIL Scuola, contro la discriminazione che il Sindaco metteva in atto verso gli operatori della scuola, quindi una questioni abbastanza limitata; ma nella discussione del caso essa allarga di molto l'orizzonte, chiamando in causa aspetti decisivi. In sostanza, il Sindaco viene condannato per la violazione diretta dell'articolo 33 della Costituzione, che garantisce la libertà di insegnamento. Ma la sentenza lega la libertà di insegnamento, in un nesso inscindibile, con l'articolo 3, che garantisce al lavoratore la partecipazione attiva "all'organizzazione politica, economica e sociale del paese", e con l'articolo 4, secondo il quale il lavoratore ha il dovere di "concorrere al progresso materiale e spirituale della società".
Ebbene, secondo il giudice, il comportamento del Sindaco di Adro viola questi tre articoli della Costituzione. Infatti, dopo averli esplicitamente richiamati come base giuridica, la sentenza recita:
"Si tratta di operare in un ambiente che si connota per una sorta di vero e proprio inquinamento con segni partitici e lo si satura in modo tale da imporre (secondo metodi invasivi, ben noti agli studiosi di processi mediatici) nella coscienza - questa sì, non pienamente formata - dei discenti, per di più di tenera età, di un'identità tra scuola e simbolo partitico, ossia un'espressione di una particolare visione culturale della società e del sistema di regolazione dei rapporti sociali.
I riflessi che tale percezione può avere sul libero svolgimento dell'attività didattica è di intuibile rappresentazione, dovendo il docente fare quotidiano riferimento ad un necessario distinguo tra il proprio progetto educativo e tutti i possibili collegamenti che una visione di parte, seppure attraverso un'assuefazione o assimilazione simbolica, genera nel corpo discente. In tale prospettiva la possibilità del docente di operare in un ambiente laico è in modo radicale pregiudicata, dovendo confrontare un modello educativo per sua natura "aperto" (ossia capace di porsi in relazione dialettica con una pluralità di istanze educative) con una situazione che invece tale apertura sminuisce e contraddice, suggerendo la prevalenza di una visione di parte: si pensi, a titolo esemplificativo, alla sovraesposizione che, mediante un'adeguata diffusione della simbologia propria di una certa ideologia o visione culturale o morale, potrebbe essere attuata con riguardo ad un modello educativo di tipo solidaristico di matrice cattolica, ovvero di tipo comunista di stampo marxiano, o ancora di tipo libertario di origine anarchica. Allo stesso modo la visione culturale del partito Lega Nord si può imporre in via privilegiata con l'impiego pervasivo della sua simbologia nella mentalità e nel modo comune di sentire dei discenti come la visione "normale", con l'impossibilità di docente di attuare un modello educativo propositivo, e quindi realmente educativo, dovendo porsi nelle singole occasioni educative: sì pensi al tema della convivenza tra soggetti comunitari ed extracomunitari, tema di assoluta sensibilità, specie nei territori lombardi, in un ambito in cui la presenza diffusa di soggetti - e quindi di discenti - extracomunitari impone una prevedibile necessità di raffrontare il modello educativo del docente, quale esso sia, con la visione di parte che la simbologia diffusa nel plesso scolastico richiama."
Molto interessante, e di nuovo, del tutto analoga alla posizioni del comitato "Rimuoviamoli", la valutazione della inefficacia dell'operato del Preside:
"La rimozione fisica e la copertura con adesivi dei simboli non consente di ritenere che gli effetti della condotta discriminatoria siano rimossi e vanificati: in sostanza alla rappresentazione simbolica si contrappone un intervento che, al di là delle intenzioni del promotore, assume una valenza simbolica contraria, e, quindi, non fa che riproporre la questione della legittimità o meno della presenza del simbolo partitico, quindi reitera e rende permanente la situazione di contrasto e di disagio che la presenza del simbolo ha determinato."
In conclusione il giudice:
"dichiara discriminatoria l'apposizione del simbolo partitico della Lega Nord presso l'istituto Scolastico Comprensivo di Adro.
Dispone: A) la rimozione a spese del Comune di Adro del simbolo partitico e la ricollocazione delle suppletivi asportate priva del simbolo partitico a spese del Comune di Adro e sotto la vigilanza del Dirigente Scolastico dell' Istituto Scolastico Comprensivo di Adro; B) l'esposizione della Bandiera della Repubblica Italiana e di quella dell'Unione Europea in modo permanente e in conformità all'art.4 del d.P.R. 7 aprile 2001 n.121; C) la pubblicazione per estratto un giorno sui quotidiano Giornale, di Brescia, Bresciaoggi, Corriere della Sera e La Repubblica. D) l a pubblicazione di copia integrale del presente provvedimento presso il medesimo Istituto per una settimana lavorativa.
Condanna il Comune di Adro al pagamento delle spese processuali in favore della FLC - CGIL di Brescia"
Ora dunque c'è la sentenza del giudice - la terza sentenza di condanna in pochi mesi contro il Lancinante di Adro. In questo caso, però, la sentenza, visto il suo articolato e le sue motivazioni, viene implicitamente a condannare, almeno come ricaduta politica, anche ben altri attori: il ministro dell'interno, il ministro della pubblica istruzione, il prefetto. Tutti da rimuovere, come diceva lo striscione del comitato nella storica giornata di sabato 4 dicembre 2010, ad Adro, Franciacorta.
Gli amatori possono trovare qui la fotocopia della sentenza in pdf.

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