Popolo Costituzione e
rivoluzione
Discorso tenuto a Brescia il 6 maggio 2013 per l’apertura della
campagna sul referendum
Raniero La Valle
Per partire, come sempre si deve fare, dal contesto in cui si svolge
questo evento, possiamo citare una notizia meravigliosa che si trova
sui giornali di oggi: a Palmira, l’antica città romana in Siria
appena liberata dall’ISIS, l’Orchestra di San Pietroburgo ha
tenuto un concerto con musiche di Bach e di Prokofiev nell’anfiteatro
romano che era stato fino a ieri la sede di feroci esecuzioni. Questo
vuol dire che la distruzione non è per sempre. Questo vale anche per
la Costituzione: se anche riusciranno ora a distruggerla, essa
rinascerà, l’Italia non sarà senza Costituzione, non perderà il
patrimonio ormai acquisito del costituzionalismo democratico.
Popolo
Nel merito dell’incontro di stasera, devo dire che, nonostante
qualche difficoltà sono venuto a Brescia per l’apertura di questa
campagna sul referendum costituzionale, per una ragione precisa: per
parlare della Costituzione nel nome di un mio amico bresciano,
l’amico più caro che ho avuto nella mia vita, Franco Salvi, che
alla Costituzione, alla Repubblica, al bene comune ha consacrato
tutta la sua vita. Franco Salvi sognava la Costituzione quando faceva
il partigiano: in seguito lui non ha mai parlato della sua
esperienza di lotta armata, né nel periodo della sua militanza nella
FUCI, né nel periodo della sua vita politica, nella quale è stato
il più stretto collaboratore di Aldo Moro, dalla cui morte fu alla
fine letteralmente straziato; cattolico e non violento, Franco Salvi,
schivo e riservato com’era, non si è mai gloriato di aver
combattuto con le Fiamme Verdi: io conservo – ma credo di essere
uno dei pochi – una sua rarissima fotografia da partigiano con il
fucile in mano.
Per lui la Resistenza, come per tanti come lui, non era ragione né
di vanto né di retorica; è stata semplicemente la porta stretta, il
parto doloroso attraverso cui tutto il resto è stato possibile, e
grazie a cui la sua vita stessa ha preso il suo senso; la Resistenza
è stato il varco attraverso cui è passata la Repubblica, la
Costituzione, la libertà, i diritti e, sopra tutto, la dignità del
lavoro e la dignità dei cittadini.
Dunque io vengo qui stasera, in nome di Franco Salvi e di tutti
quelli che hanno resistito e combattuto come lui, per farvi una
domanda, per rivolgervi una petizione, come si farebbe davanti a un
sovrano; non ci sono del resto altri sovrani a cui si possa fare
questa domanda. Noi siamo infatti oggi in Italia in una specie di
sede vacante della sovranità. Il sovrano se n’è andato.
Abbiamo perso la sovranità monetaria, perché non possiamo più
battere moneta, l’euro è governato a Bruxelles e a Francoforte, e
ci sono una quantità di banche e centri finanziari che creano moneta
dal nulla, una falsa moneta speculativa pari a decine di volte il
prodotto lordo mondiale, senza alcuna possibilità di controllo.
Non abbiamo più la sovranità economica, perché l’abbiamo
trasferita all’Europa, cioè ai mercati. Quando impongono a noi o
alla Grecia politiche suicide, dicono: “lo vuole l’Europa”, ed
è vero. Cioè lo vogliono i mercati.
Abbiamo perso la sovranità politica, non possiamo più decidere il
giusto: avevamo l’operazione “Mare Nostrum” per salvare i
profughi nel Mediterraneo, ne abbiamo salvato decine di migliaia
(189.741 migranti assistiti) e ce l’hanno fatta chiudere perché
l’Europa ha voluto sigillare le frontiere e tenere lontano i
naufraghi con l’operazione Frontex, per finire poi ad alzare muri e
barriere da cui si spara sui profughi con proiettili di gomma e
lacrimogeni.
Non abbiamo più la sovranità del Parlamento, perché con la legge
Calderoli prima e con l’Italicum poi abbiamo distrutto la
rappresentanza, i parlamentari non sono eletti in rapporto ai voti,
ma assegnati per legge, e sono nominati dai capi e notabili dei
partiti, perciò sono funzionari di apparato e non delegati del
popolo.
Ed ora abbiamo perso anche la sovranità della Costituzione: noi
siamo di fatto senza Costituzione perché il 12 aprile scorso il
Parlamento, senza i due terzi dei voti e addirittura a Camera vuota
(erano pieni solo i banchi del governo), ha approvato una nuova
Costituzione licenziando l’antica. Dunque la vecchia Costituzione
non c’è più, perché i suoi custodi l’hanno abbandonata, sono
fuggiti, mentre la nuova Costituzione non c’è ancora, entrerà in
vigore tra diversi mesi, solo se supererà il vaglio del referendum
popolare oppositivo.
Dunque in questo momento neanche la Costituzione è sovrana, non può
garantire i nostri diritti, è lì per l’ordinaria amministrazione,
in stato di transizione; per chi se lo ricorda, è come Umberto di
Savoia che prima del referendum del ’46 non era re ma luogotenente
del Regno, faceva le funzioni di sovrano ma non era sovrano.
Ma allora, se la sovranità se n’è andata, il Parlamento è
delegittimato, la Costituzione è in una condizione di sovranità
limitata e sospesa, dov’è oggi il sovrano?
Eccolo qui, il sovrano, è qui davanti a noi, la sovranità torna
alla sua origine, alla fonte da cui promana, al soggetto cui
primariamente appartiene, al popolo, e lo scettro torna nelle mani
del popolo.
Perciò chi ha promosso questo incontro è come se venisse davanti a
voi come dinanzi al sovrano a porvi una domanda. È una domanda
semplice, a cui si può rispondere solo con un sì o con un no, come
si dovrà rispondere col sì o col no nel prossimo referendum
costituzionale, senza scelte intermedie e condizionate.
Non si può dire: voterei no, perché la riforma non mi piace, ma in
realtà voterò sì perché non si può far vedere che ancora una
volta, dopo tanti anni, le riforme non si fanno (è la dichiarazione
di voto che ha fatto in TV dalla Gruber il nuovo direttore di
“Repubblica”, Mario Calabresi); non si può dire: voterei no
perché la riforma è dannosa e brutta, come hanno detto
costituzionalisti anche governativi, però voterò sì perché se no
cade il governo; non si può dire, come dice Renzi, che siate per il
sì o per il no alla nuova Costituzione, votate sì perché se no me
ne vado.
Questi sì e questi no condizionati non sono ammissibili; qui il
vostro linguaggio deve essere sì-sì, no-no, come dice il Vangelo,
il resto viene dal Maligno.
Ma allora, se si può dire solo sì-sì, no-no, bisogna vedere bene
qual è la domanda. Bisogna intendere bene qual è la vera domanda, e
smascherare la falsa domanda.
Finora noi siamo stati dominati da una falsa domanda, perché tutti
quelli che vogliono cambiare la forma democratica della Repubblica
non vogliono dirlo e non vogliono che il popolo sovrano se ne
accorga, e dicono che vogliono solo cambiare un po’ il Senato e
mandare a casa 200 senatori. Negli eccessi di sincerità la falsa
domanda arriva a formularsi così: volete buttare a mare il Senato?
Ma questa appunto è una falsa domanda, volta a ingannare il sovrano;
perché se al sovrano, cioè al popolo, si dice: vuoi buttare a mare
la tua sovranità, il sovrano naturalmente dice di no; invece se gli
si dice: che te ne fai di due Camere, te ne basta una così spendi di
meno e fai presto le leggi, è più facile che il sovrano dica di sì.
Ma se davvero fosse questione di questo non ci sarebbe bisogno di
prendersela tanto, né di scomodare la memoria di Franco Salvi, che
pur era senatore, ma non certo per questo ha combattuto.
Costituzione
La domanda vera non è: volete mandare a casa il Senato; la domanda
vera è: volete mandare a casa la Costituzione del ’48, e
sostituirla con la Costituzione uscita ora dalle stanze del governo?
Per nascondere questa domanda dicono che la Costituzione rimane la
stessa, la prima parte, cioè la parte dei principi, dei valori e dei
diritti non viene toccata. Ma se si cambiano 50 articoli di una
Costituzione che ne ha 139, e se questi 50 articoli sono quelli che
mettono in campo gli strumenti, le garanzie e i controlli perché
principi, valori e diritti diventino effettivi, perché la libertà
non sia impedita, l’eguaglianza sia promossa e sia realizzata nei
fatti, come volle che fosse scritto Teresa Mattei, allora non
si può dire che la Costituzione resta la stessa.
E se la Costituzione non resta la stessa, la domanda immediatamente
successiva che bisogna porsi è questa: ma allora che società
vogliono fare? Ovvero quale diversa società è stata creata in
questi anni. così da aver bisogno di una diversa Costituzione?
Perché
le Costituzioni non sono indipendenti dalla società, il vero
problema è quello della corrispondenza tra la Costituzione e
l’identità di un Paese. Le costituzioni non precedono le società,
ne sono l'espressione, anche se proiettata in avanti. La Costituzione
del '48 ad esempio fu la conseguenza della grande rigenerazione
spirituale e sociale prodotta dall'immenso dolore della guerra, e
sentimenti come eguaglianza, libertà, dignità, solidarietà erano
nelle masse prima di giungere alla formulazione costituzionale. Ma
l'errore è di ritenere che solo i valori fossero legati allo spirito
pubblico di quel tempo, e non anche le scelte dei costituenti sulle
forme e le regole del sistema politico. Non è così: non solo la
prima parte, ma anche la seconda parte della Costituzione era legata
allo spirito del tempo. È evidente ad esempio che il ritrovato
pluralismo politico affratellato nel sangue della Resistenza e nel
percorso verso la Costituente, faceva ritenere così scontata, da non
doversi nemmeno menzionare, ma dare come presupposta in tutti gli
articoli della Costituzione, la proporzionale come metodo normale per
le elezioni. Perché nessun valore, nessuna idea, nessuna energia
doveva andare perduta; tutte erano degne, e anzi necessarie, tutte
dovevano essere convocate per l’impresa comune; perciò, la
proporzionale.
Né
meno forte è stato il rapporto tra il sentimento diffuso e la scelta
bicamerale. Il passaggio alla Repubblica e quindi la rivalsa su tutta
la forma politica che l'Italia aveva avuto fino allora, aveva la sua
massima espressione simbolica e reale nel Parlamento; caduto il re,
questo era il sovrano, ovvero la sovranità visibile del popolo. E
proprio perché c'era stato un Senato del Regno doveva esserci un
Senato della Repubblica (mentre non era concepibile, né l’hanno
chiamato così neanche oggi, un Senato delle autonomie). Però il
Senato, che era di nominati a vita (e per questo c'erano rimasti dei
senatori non fascisti nel tempo di Mussolini), doveva essere
anch'esso di eletti dal popolo, e così realizzare un parlamentarismo
differenziato e ricco, non solo in rapporto al governo, ma ancora di
più in rapporto al territorio. In questo senso le decisioni dei
Costituenti erano fortemente influenzate dal sentire comune, che non
solo voleva la democrazia, ma una democrazia abbondante. Senato e
Camera volevano dire una democrazia abbondante, una democrazia più
garantita; due Camere voleva dire che se una mascalzonata, una legge
liberticida, una legge sbagliata passava a una Camera, poteva essere
fermata dall’altra, poteva essere raddrizzata. Ricordo solo la
legge sull’aborto. Se essa è stata alla fine accettata dalla
coscienza pubblica, anche cattolica, e ha superato referendum e
giudizi di costituzionalità, è perché la legge di impronta
radicale uscita dalla prima lettura della Camera è stata poi
completamente ripensata e rifatta dal Senato. E basterebbe ricordare
la legge Gozzini sull’umanizzazione delle carceri, che senza il
Senato non esisterebbe nemmeno. E così per moltissime altre leggi.
Ma
c'erano delle ragioni ancora più profonde che spingevano la
Costituente alla scelta di un Parlamento veramente rappresentativo e
di una proporzionale sincera, senza forzature nè esclusioni. La
prima era il grande prestigio che godeva la prima rappresentanza
repubblicana, che veniva dall'impegno politico, dalle carceri e dalla
clandestinità, conduceva vita austera, era mal pagata (Teresa Mattei
voleva darle il salario di un operaio romano) e certo non poteva
essere sospettata di carrierismo. E la seconda era la grande stima
che non solo circondava la rappresentanza politica in generale, anche
per il legame di importanti masse popolari con i loro partiti e i
loro leaders, ma altresì caratterizzava i rapporti degli stessi
rappresentanti, pur avversari politici, tra loro; basti ricordare le
parole di altissima considerazione che il partigiano Dossetti ebbe a
pronunciare riferendosi alla testimonianza di un partigiano comunista
del Reggiano.
Così
la Costituente scrisse la prima parte e, indissolubile da questa, la
seconda parte della Costituzione; era la Costituzione naturale,
omogenea, anche se "presbite", dell'Italia e della società
di allora. E l’idea era che l’Italia e la Costituzione
crescessero insieme.
Invece
questa corrispondenza si è rotta. Lo sviluppo economico, il
mutamento dei costumi, i sovvertimenti dell'ordine politico ed
economico internazionale hanno cambiato radicalmente il quadro, hanno
inaridito e reciso i legami sociali senza che le grandi agenzie
religiose culturali e informative fornissero la linfa per
rigenerarli. Né le dottrine politiche, né il pensiero politico
comune, né i comportamenti dei cittadini si sono portati all'altezza
delle nuove sfide. Sopratutto dopo l'89, finita la guerra fredda, non
si sono prodotte analisi adeguate, non si è progettata la nuova
società della pace. Nessuno ha denunciato la presa del potere da
parte del Denaro, nessuno ha accusato la società mondiale
dell'esclusione, nessuno l'economia che uccide. Nessuno fino a papa
Francesco.
Oggi
la società è più barbara di quella nella quale è stata concepita
e stipulata la Costituzione del '48. Secondo le ultime statistiche
europee in Italia ci sono 7 milioni di poveri reali: ma, come i
profughi, sono dei numeri, non dei visi, delle storie, delle
famiglie. Il costo di produzione che si cerca di abbattere, fino a
renderlo residuale, è il costo del lavoro. Ciò toglie ragione alla
stessa produzione e alla stessa economia, lasciando il primato alla
finanza e alla speculazione. Sessantadue persone nel mondo hanno una
ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone. E
l'Europa dopo aver compiuto il reato di omissione di soccorso, ovvero
di stragi, nei suoi mari, spara sui profughi e i fuggiaschi
sopravvissuti. Spara, per ora, con proiettili di gomma, perché gli
invasori sono venuti senza asce e bastoni. E con alchimie prive di
qualsiasi relazione con la realtà, discrimina tra i presi e i
lasciati, distingue tra chi, essendo in fuga dalla fame, non ha alcun
diritto e chi, provenendo da mattatoi più violenti, può implorare
asilo dalle burocrazie europee; e su queste basi firma con la Turchia
un contratto di deportazione dei senza speranza.
Cosa
ci sta a fare in un mondo così la Costituzione italiana, il
bicameralismo, il Senato, la democrazia abbondante, il controllo
parlamentare degli atti di governo? Ci vuole una Camera unica, ci
vuole un deputato unico spalmato in 340 seggi che risponda a chi l'ha
nominato e forse lo nominerà ancora. Ci vuole un partito unico, ci
vuole un comando unico di governo e partito, ci vuole un capo unico
che decida avendo come suo Primo Consigliere la Bugia. E non importa
nemmeno che questo solo al comando sia di destra o di sinistra; ai
riformatori della Costituzione questo appare del tutto irrilevante, e
dal loro punto di vista infatti lo è.
Quello
che conta è il disegno complessivo che viene perseguito, cioè il
passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia
dell’investitura, dalla democrazia fondata sul Parlamento alla
democrazia fondata sul governo, dal rapporto di fiducia per cui il
Parlamento è artefice e giudice del governo, al rapporto di potere
per cui il governo è padre e padrone del Parlamento, dal popolo che
ogni giorno concorre in diversi modi a determinare la politica
nazionale, al popolo che una sola volta ogni cinque anni attribuisce
il potere a qualcuno e gli altri giorni è solo spettatore manipolato
dai sondaggi.
E
il risultato è l’annichilimento della politica, per cui si crea
un’onnipotenza del potere nell’impotenza della politica e nella
subordinazione di ambedue – potere e politica – al dominio
incontrastato delle potenze finanziarie e dei mercati.
La
riflessione pertanto durante la battaglia referendaria dovrà
prendere in carico e approfondire l'analisi di questo scarto che si è
venuto a creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di
questa fase della storia d'Italia, d'Europa e del mondo, scarto che
politici zelanti vorrebbero cancellare schiacciando la Costituzione
sull’esistente e addirittura riportandola indietro verso il passato
pre-costituzionale, che è quello dell’assolutismo.
Perciò
la partita è molto grossa e sono in gioco grandi valori. Non si
tratta solo del trucco per cui i consiglieri regionali diventano
senatori, si tratta dell’intera concezione della società e della
storia. Si tratta della necessità che il pensiero unico che oggi
vuole assoggettare le istituzioni politiche sia criticato non solo
dall’interno delle stesse istituzioni, che non devono arretrare
dalle posizioni raggiunte, ma sia criticato da un punto di vista
esterno, cioè a partire da visioni e ideali che vadano oltre la
gabbia del sistema vigente, credano a un altro mondo possibile e
postulino una ben diversa interazione tra società e Costituzione.
Ossia c’è la necessità di una rivoluzione.
Rivoluzione
Questo
punto di vista esterno al sistema può essere un’ideologia,
un’altra concezione della politica, un’etica, una fede. Anche una
fede: è questa la ragione per cui in questa campagna referendaria
sono scesi in campo anche i “cattolici del No”, che hanno
dichiarato di voler affermare, proprio come cristiani, i valori della
Costituzione vigente, di opporsi al suo sovvertimento e di volerne
spingere l’attuazione verso traguardi ancora più alti e avanzati.
Ciò ha provocato la riapertura della grande questione,
particolarmente provocante in Italia, del rapporto tra fede e
politica, che in questo caso vuol dire il rapporto tra Vangelo e
Costituzione.
Quelli
che (come alcuni cattolici vetero-maritainiani di una comunità
romana) sostengono un’indifferenza (ovvero una sterilizzazione)
della fede rispetto alla battaglia sulla società e la Costituzione,
si rifanno a una concezione molto vecchia della laicità, che era
giustamente polemica nei confronti del clericalismo, ma che non
corrisponde più allo stato di cose presenti e non è degna della
Chiesa di papa Francesco, che rende onore all’autonomia dell’umano
e ha rivendicato la libertà dei laici cristiani, dichiarando che non
sono mandatari di nessun clero e portano in proprio, come tutti, la
comune responsabilità del mondo.
Questo
tema è però utile perché ci porta a evocare una novità di enorme
importanza. Se nella società, in Europa, nel mondo, occorre una
rivoluzione, non si può non rilevare che proprio nell’ambito della
fede una straordinaria rivoluzione è avvenuta nell’arco dei 50
anni che vanno dal Concilio del Novecento al pontificato di papa
Francesco. Senza che forse ce ne accorgessimo, c’è stata ed è in
corso una svolta epocale del cristianesimo - non solo della Chiesa,
ma dello stesso annunzio di fede – e forse dell’idea stessa di
religione, che potrebbe avere conseguenze durature non solo sulle
altre confessioni cristiane, ma sull’Islam, sulle diverse culture,
e sullo stesso rapporto tra l’idea di Dio e l’umanità come tale.
Di questo “aggiornamento” fanno parte la rivalutazione, con papa
Giovanni, della libertà umana (non più espropriata in nome della
verità), l’ammissione del pluralismo religioso e della non
esclusività della Chiesa cattolica come via di salvezza (col
Concilio), il definitivo congedo da ogni idea di un Dio violento (col
cardinale Muller, prefetto del dicastero della Fede), il superamento
della concezione sacrificale per cui il Padre per essere risarcito
del peccato umano esigesse la morte cruenta del Figlio (cosa “in sé
del tutto errata” secondo il papa emerito Benedetto), il
riconoscimento di un unico popolo di Dio comprendente già ora
l’umanità tutta intera, testimoniato da papa Francesco, e infine
l’affermazione della misericordia come culmine del messaggio
evangelico. A ben vedere il primato sempre richiamato della
misericordia suggerisce una comprensione della religione della
misericordia non come complemento ma come alternativa alla religione
del sacrificio, ovvero il passaggio dalla religione del sacrificio,
del “sacrum facere”, che consiste nell’alienazione al
sacro dell’umano, alla religione della misericordia che consiste
nel dono del cuore divino e nella sua accoglienza nel cuore
dell’umano. E’ il farsi uomo e il donarsi di Dio come alternativa
all’assorbimento del profano nel sacro. è l’acquisto di Dio
nell’umano e non lo svuotamento dell’umano nel divino, secondo la
parola della Scrittura, di Gesù, e del cristianesimo stesso:
“misericordia voglio e non sacrifici”.
Se questo è avvenuto, sul terreno più difficile, vuol dire che la
rivoluzione è possibile su ogni altro terreno. E se la società
umana, la comunità internazionale, l’Europa, hanno bisogno di una
rivoluzione, essa è già concepita, è già invocata, è già nei
cantieri del futuro; l’ha indicata papa Francesco questa mattina
(nella cerimonia per il “Carlo Magno”) all’intera classe
dirigente europea: non si tratta di correggere qualche trattato con
compromessi tortuosi, si tratta di costruire ponti e abbattere muri,
di passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in
base alla speculazione e all’usura, ad un’economia sociale che
investa sulle persone, che garantisca l’accesso alla terra, cioè
ai mezzi di produzione, al tetto e al lavoro in modo tale che le
persone e le comunità possano mettere in gioco tutte le dimensioni
della vita, fino a un atteggiamento di adorazione; si tratta non di
rivendicare le radici cristiane dell’Europa, ma di riconoscere le
radici europee dell’incontro di popoli e di culture diverse, e
irrorarle con l’acqua del Vangelo; non si tratta dell’ora di
religione nelle scuole, ma della cultura trasversale del dialogo in
tutti i curriculi scolastici per una società integrata e
riconciliata; si tratta della rivoluzione di un‘Europa ancora
capace di essere madre, non la sterile che non partorisce, un’Europa
di cui non si possa dire che l’impegno per i diritti umani sia
stata la sua ultima utopia, e oggi, soprattutto, si tratta di un
mondo dove migrare non sia un delitto.
Questa rivoluzione deve avere un’anima che porti impressi i tratti
di varie culture e bellezze, contro ogni chiusura.
E se questa sarà la società, così saranno anche le Costituzioni.
Raniero La Valle