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mercoledì 21 dicembre 2016

Respinto l'attacco definitivo alla Costituzione, ripristinare la Costituzione Italiana originaria

Il 1956, il Pci e il progetto di una nuova società. La via italiana al socialismo”
(intervento di Dino Greco)

Diceva Togliatti nella sua relazione alla I sottocommissione della Costituente dedicata al tema cruciale dei Principii dei rapporti economico-sociali che “in un regime di pura libertà economica, cioè di pura competizione è inevitabile che masse ingenti di donne e di uomini siano privi degli indispensabili mezzi di sussistenza” perché “questa è infatti una delle condizioni affinché tutto il sistema economico capitalistico possa funzionare, ed è conseguenza di uno sviluppo che tende da un lato a concentrare le ricchezze nelle mani di gruppi ristretti di privilegiati, mentre dall’altro lato aumenta il numero dei diseredati”.
E aggiungeva che “anche se la massa dei diseredati in periodi di prosperità e in paesi particolarmente favoriti può tendere a diminuire, essa torna ad accrescersi in modo pauroso quando inesorabilmente sopravvengono i periodi di crisi”.
Togliatti proseguiva ricordando che “l’esperienza di tutti i paesi a capitalismo sviluppato mostra come per lo sviluppo stesso delle leggi interne dell’economia capitalistica la libera concorrenza genera il monopolio, cioè genera la fine della libertà. E si creano così ancora più rapidamente le condizioni in cui la proprietà dei mezzi di produzione e quindi la ricchezza tendono a concentrarsi nelle mani di pochi gruppi di plutocrati, che se ne servono per dominare la vita di tutto il paese, per dirigerne le sorti nel proprio interesse esclusivo, per appoggiare movimenti politici reazionari, per mantenere ed instaurare le tirannidi fasciste, per scatenare guerre imperialistiche di rapina, operando sistematicamente contro l’interesse del popolo, della Nazione”.
Poi arriva la stoccata decisiva: E’ per questo – affermava Togliatti - che occorre abbandonare “le concezioni utopistiche del vecchio liberalismo per dare corso ad un’opera ampia e radicale di riforma della struttura economica della società” perché “il prevalere nei principali paesi dell’Europa capitalistica di gruppi plutocratici reazionari ha portato in alcuni di essi alla totale liquidazione delle istituzioni democratiche, in altri ad una seria minaccia per la loro esistenza, in tutti o quasi tutti al tradimento dell’interesse nazionale da parte delle caste dirigenti reazionarie, e a quell’esasperato acutizzarsi di conflitti imperialistici che doveva metter capo alla catastrofe immane della seconda guerra mondiale”.
Quindi, ecco la trama essenziale su cui incardinare la nuova costituzione, il progetto di società di cui si doveva forgiare la strumentazione: centralità del lavoro, programmazione economica, ruolo decisivo della mano pubblica, cooperazione, forme di proprietà diverse da quella privata, controllo operaio sulla produzione, nazionalizzazione delle imprese che per il loro carattere di servizio pubblico debbono essere sottratte all’iniziativa privata, libertà di impresa rigorosamente subordinata all’interesse sociale, sino all’esproprio della proprietà ove questo principio venga contraddetto.
E “democrazia progressiva”, come espansione della partecipazione popolare verso forme inedite di produzione e socializzazione della ricchezza prodotta dal lavoro sociale.
Insomma: un processo di transizione, verso una società non più capitalistica. Un processo nel quale la dialettica e il conflitto sociale venivano concepiti come elementi costitutivi del progresso del Paese.
E’ questo il telaio politico su cui si sviluppa, nel ’56, l’elaborazione dell’VIII congresso del Pci, nell’intento di dare corpo ad un progetto, ad un’architettura politica e sociale capace di rispondere al tema gramsciano della rivoluzione in Occidente, di una via italiana al socialismo, sganciata dalla forma storica in cui il socialismo si era realizzato nell’Urss, capace di coniugare diritti civili e diritti sociali, libertà ed uguaglianza.

Certo, nella Costituzione non c’è scritto tutto questo, almeno non nei suoi presupposti teorici, ma c’è molto di tutto questo, nell’insieme e nelle parti, sia nei principii fondamentali che, in modo speciale, nei 13 articoli che compongono il titolo III.
Ed è per questa solida ragione che dal momento stesso della sua promulgazione la Costituzione è stata attaccata, con forza tanto maggiore quanto più essa metteva in forse l’egemonia delle classi dominanti e i rapporti sociali esistenti.
Non deve dunque sorprendere se fu l’irruzione sulla scena politica di un formidabile movimento operaio, fra la fine degli anni Sessanta e buona parte dei Settanta, a fare rivivere la Costituzione nel suo spirito originario e nei suoi contenuti più innovativi. Come non deve sorprendere se al declino prima e alla sconfitta poi di quel movimento, insieme alla dissoluzione del socialismo realizzato, sia corrisposto l’affermarsi del dominio assoluto del capitale e della sua ideologia in forme violentemente regressive in Italia come in larga parte del mondo.
Dalla fine degli anni Quaranta il mondo è profondamente cambiato.
Lo è, in primo luogo, il modello di accumulazione capitalistica conseguente al processo di finanziarizzazione dell’economia con i tratti di una vera e propria superfetazione usuraria che reagisce sull’economia reale distruggendo forze produttive e consumando irreversibilmente risorse naturali, con una rapidità che non ne consente il rinnovo.
E’ un modello che si fonda su una concentrazione inaudita della ricchezza e del potere, sull’esproprio della sovranità popolare e sull’ostilità alle democrazie come plasmate dalle costituzioni antifasciste che - certo non a caso - sono diventate in varie forme il bersaglio dichiarato dei gruppi dominanti che sempre più inclinano verso una torsione oligarchica e totalitaria del potere.

Ebbene, merita osservare come la Costituzione italiana e la discussione che nel lavoro costituente ne rappresentò l’incubazione, siano – nel tempo presente e per certi versi più di prima - di una stupefacente attualità e indichino la strada di un processo possibile di aggregazione di soggettività politiche, sociali, culturali che vivacchiano separate in una impotente diaspora autodistruttiva, confinate nell’irrilevanza o nella subalternità.

Si è in questi anni tentato, con recidivante testardaggine, di formare schieramenti politici a sinistra, contenitori di sigle, per lo più in vista di appuntamenti elettorali, con l’intenzione rivelatasi velleitaria di coagulare una massa critica sufficiente a riconquistare come che sia una qualche rappresentanza istituzionale, una sorta di certificato di esistenza in vita.
Quanto ai contenuti di questi variopinti rassemblement, la ricerca è stata sempre piuttosto vaga, sulla scia del convincimento che andare per il sottile avrebbe fatto morire il bambino nella culla.
Così è accaduto, ogni volta, che il bambino affetto da strutturale gracilità, si è schiantato subito dopo il primo vagito, quando non addirittura durante la gestazione. Fuor di metafora, le operazioni politiciste, prive di base sociale e di vero progetto politico, hanno sempre prodotto improbabili accrocchi e fragorosi insuccessi.
Si è anche cercato di aggirare la questione cruciale del programma con formule lessicali all’apparenza radicali, contrassegnate dal sigillo dell’antiliberismo.
Peccato che l’incerta semantica del termine non sia riuscita a spazzare via l’eterogenesi dei fini che si nascondeva dietro la formula solo in apparenza radicale e unificante.
Il fatto è che non si sfugge al tema di fondo: se non è chiaro dove si vuole andare è del tutto vano scapicollarsi nella ricerca di fantasiose ricette organizzativistiche.

Ora, come spesso accade, sono i fatti, la prassi sociale ad illuminare la strada, a far intravvedere possibilità nuove, semplici, ma rimaste inopinatamente inesplorate.

Per uno di quei paradossi che ogni tanto si verificano nella storia, dobbiamo questo a Matteo Renzi e ad essere sinceri dovremmo proprio ringraziarlo. Dovremmo ringraziarlo per la sua incontenibile brama di potere, per avere tentato di travolgere la democrazia costituzionale attraverso un plebiscito che se vinto avrebbe cancellato il parlamento e consegnato il potere, tutto il potere, nelle mani di una consorteria di lestofanti che in questi anni hanno dato plateale dimostrazione degli interessi a cui sono asserviti.
Dovremmo ringraziarlo per avere rimesso in moto la sovranità del popolo che è corso in massa alle urne non per incoronarlo, ma per mandarlo a casa.
Infine, cosa della massima importanza, dovremmo ringraziarlo per avere contribuito, sebbene a sua insaputa, e comunque contro ogni sua intenzione, a riaccendere i riflettori sulla Costituzione, non soltanto sui temi, certamente rilevantissimi, della forma di governo, dello Stato, dell’architettura istituzionale, ma anche sui fondamentali principi costituzionali, sulla nervatura sociale, sul progetto di società e di democrazia che vive nella Carta e che da oltre trent’anni è stato messo in sonno, dimenticato, scardinato.

Il voto, come tutti hanno potuto vedere, ha avuto diverse facce, ma fra queste c’è un tratto fondamentale e decisivo: il voto ha messo i ricchi e coloro che sentono di avere le terga al riparo da una parte e i poveri, i precari, i lavoratori, gli sfruttati dall’altra.
Una parte dei quali ha capito, per istinto, che la Costituzione sta dalla loro parte mentre quelli che la vogliono liquidare stanno dall’altra: si è trattato, per usare le parole giuste, di un voto socialmente connotato, sebbene non ancora di classe.
Chi sta pagando drammaticamente la crisi ha pronunciato un solenne “Basta!” al potere che ha somministrato potenti dosi di austerità a chi sta in basso e laute prebende a chi sta in alto e che ha fatto della disuguaglianza il proprio distintivo politico.

Certo, questa rivolta si è espressa nella sola forma oggi possibile.
Quella sorprendente corsa alle urne ha supplito al vuoto di un conflitto sociale organizzato e alla latitanza di un progetto politico che nessun soggetto politico ha sin qui saputo proporre con sufficiente chiarezza.

Per questo credo che l’esito del referendum parla un linguaggio chiarissimo e formula una domanda esplicita anche al frammentatissimo arcipelago della sinistra non addomesticata dalle sirene renziane, estranea e ostile al definitivo approdo liberale del Pd e purtuttavia (sino ad ora) incapace di trovare un punto di incontro programmatico forte, durevole, tale da prefigurare un blocco sociale e politico alternativo alle due destre in cui si articola la rappresentanza delle classi dominanti, in Italia e in Europa.

Ebbene, io credo che il messaggio che deve giungere a tutte le orecchie ricettive è questo: fare proprio, senza omissioni o riduzioni, il contenuto politico-sociale fondamentale della Carta del’48, declinarlo in obiettivi chiari e percepibili da tutti e da tutte, farlo divenire il comune denominatore, il patto vincolante di un progetto trasformativo della società italiana, e intorno ad esso coagulare una coalizione di soggettività politiche diverse, tutte chiaramente visibili nella propria identità e autonomia, eppure tutte solidalmente unite nella realizzazione di quel disegno.
Basta, dunque, con le fallimentari scorciatoie politiciste con cui sino ad oggi si è preteso di rifondare la sinistra mettendo intorno ad un tavolo soggetti in cerca d’autore, contenitore senza contenuti.
Il paradigma va rovesciato, perché per una volta, invertendo l’ordine dei fattori il prodotto cambia.
Prima viene il progetto politico, e precisamente quello incardinato nella Legge fondamentale che abbiamo per così dire, “riconquistato” in uno scontro campale e che, a leggerla bene, non fa sconti a nessuno.
Per lungo tempo quel testo è stato smarrito, o sottovalutato, da alcuni interpretato come una sorta di icona inerte, da celebrarsi a buon mercato negli esercizi retorici senza concrete conseguenze, da altri che pensano non valga la pena impegnarsi per meno della rivoluzione, come un un tiepido compromesso di impronta borghese. Quando a me pare evidente che viva nella Costituzione un impianto di classe molto più robusto che in tante superficiali declamazioni di antiliberismo.
Mi fermo qui perché non è qui il luogo ove declinare, punto per punto, il progetto politico che nella Costituzione trova il proprio centro di annodamento e che può rappresentare l’incipit di una riscossa democratica.
Purché sia chiaro che è questo il lavoro che da oggi dobbiamo fare, senza perdere un solo momento.





Il disastro del Jobs act e il ministro Poletti

IL CAPOLAVORO DEL MINISTRO POLETTI

Secondo gli ultimi dati dell'INPS, fra Gennaio e Ottobre del 2016 sono stati attivati 1.370.320 contratti di lavoro a tempo indeterminato (che in verità, come ben sappiamo e come gli stessi dati sui licenziamenti più avanti mostrano, a tempo indeterminato propriamente proprio non sono). Questi nuovi contratti comprendono, ovviamente, le trasformazioni nella modalità del contratto 'a tutele crescenti' di rapporti lavorativi già esistenti. Le cessazioni sono state 1.308.680, per un saldo di +61.640 unità. Nel corrispondente periodo del 2015, il saldo, tenute sempre in debito conto le trasformazioni, era stato di +588.039 contratti (si fa per dire) stabili. Il dato del 2016 fa quindi registrare un peggioramento dell'89% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, e un peggioramento persino nei confronti del 2014. Lo stesso INPS fa osservare che tale crollo è ascrivibile alla netta riduzione degli incentivi a favore delle imprese. Le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 32% e aumentano visibilmente (per effetto dell'avvenuta soppressione dell'articolo 18) i licenziamenti per motivi 'disciplinari' (+27,4%; cosa dedurne? Il 'jobs act' funziona!).
Continua, denotando un'impressionante accelerazione, la corsa ai 'voucher', con un incremento percentuale del 32,3% soltanto nei primi dieci mesi dell'anno ancora in corso (per un vertiginoso totale di 121 milioni e mezzo di 'buoni' venduti).
Delineata la situazione, suonano alquanto distoniche le dichiarazioni del fallimentare (ma saldamente in sella) Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Da un lato, questi dice di essere pronto a “rideterminare dal punto di vista normativo il confine nell'uso dei voucher” e, dall'altro, dice che “il 'jobs act' è stata una buona legge, quindi non vi è ragione di intervenirvi”. Ora, chiunque è in grado di capire che, per quanto attiene al proposito di intervenire con una modifica nel regime normativo che discplina i 'voucher', l'ascoso intento è quello di neutralizzare (in caso di ammissibilità) l'indizione del Referendum con il quale la CGIL punta all'abolizione del suddetto obbrobrioso strumento e, verosimilmente, di adottare qualche illusorio provvedimento da dare in pasto “all’esercito di precari e voucheristi che (si suppone, visto anche l’alto dato giovanile registrato) ha votato No al referendum del 4 dicembre”. (1)
Mentre, ampliando la visuale, per quanto attiene ai magnifici risultati delle riforme del lavoro targate Poletti, ricordiamo, giusto per avere un'idea delle dinamiche tendenziali, che le assunzioni, riferite ai soli datori di lavoro privati, nel periodo gennaio-ottobre 2016 sono risultate 4.833.000, con una riduzione di 347.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-6,7%). Nel complesso delle assunzioni sono comprese anche le assunzioni stagionali (491.000).
Il fatto è che, al di là degli ormai scontati proclami propagandistici, l'attuale governo (clone del precedente) non può avere intenzione di effettuare alcuna sostanziale inversione di rotta rispetto alla ormai metastorica tendenza neoliberale che ha alienato a Renzi gran parte delle simpatie su cui questi ha, per un breve periodo, potuto contare. Al fondo, vi è sempre la vetusta idea in base alla quale l'impresa che massimizza i profitti genererebbe benefici diffusi, mentre il lavoro sarebbe un mero onere, un ostacolo a una competitività da portare allo spasimo.
Con l'idea di continuare ad agire dal lato dei costi per accrescere la competitività, non si fa altro che, in assenza di un consistente impulso al lato della domanda interna, finire in una situazione che Keynes definì 'equilibrio di sottocupazione', in una situazione cioè in cui il sistema economico, pur in presenza di livelli salariali ridotti, non si colloca vicino alla piena occupazione.
Sarebbe tempo che forze politiche e organizzazioni sindacali gettassero alle ortiche il ciarpame ideologico degli ultimi trenta anni.

Sergio Farris, 19/12/2016



1) Antonio Sciotto, 13 dicembre 2016: I dati confermano il «Flop Act» ma Poletti resta al governo

venerdì 2 dicembre 2016

Le bugie di Renzi e dei suoi r(o)enzini

Ho letto con interesse misto a sorpresa l'intervento del Segretario Provinciale di 
Abbiamo al governo un partito anti-austerity e non ce ne eravamo accorti


Brescia del Partito Democratico, Michele Orlando, uscito il 17 novembre sui giornali locali. A parte la surreale considerazione tesa a negare l'evidenza riguardo alla strumentalità, in chiave di consenso, dell'astensione italiana in occasione del voto per l'approvazione del bilancio europeo, ciò che suscita maggiore incredulità è il tentativo di descrivere il PD come l'alfiere del Keynesismo in un'Europa dove domina l'indirizzo delle politiche di austerità. Il Partito Democratico, fin dalla sua fondazione nel 2007 da parte di Walter Veltroni, non è mai stato Keynesiano, come non lo sono mai stati Tony Blair o Bill Clinton, a meno che non si intenda per Keynesismo una particolare teoria, definita a suo tempo da Joan Robinson in un modo piuttosto eloquente. L'Unione Europea è basata sull'ordoliberalismo tedesco, cioè su un ordinamento che pone le istituzioni a guardia della sacralità della concorrenza nel mercato. In particolare, ciò determina una costante compressione della domanda interna, al fine di ottenere costanti surplus nei conti con l'estero. L'Unione Europea è fondata sugli avanzi commerciali tedeschi, al cui traino i paesi satelliti devono agganciarsi comprimendo il più possibile i salari, se vogliono restare a far parte del convoglio (e ciò avviene a spese del resto del mondo, esportando deflazione). Nonostante questa Unione Europea fosse già un fallimento conclamato, il Governo di Renzi e Padoan si è posto, fin dal suo insediamento, in perfetta aderenza ideologica e pratica con le politiche da essa richiestegli. Altrimenti per quale ragione, se non per mortificare i salari, è stata fatta, andando contro i sindacati, la peggior riforma del lavoro degli ultimi 30 anni (il jobs act, una delle cosiddette “riforme strutturali”)? Se tutto andrà “bene”, la Commissione Europea ci concederà un margine di flessibilità per raggiungere un deficit, l'anno prossimo, del 2,3% (contro il 2% preventivato). Vogliamo renderci conto che, per adempiere al “Fiscal compact”, persino il famoso 3% di deficit del bilancio previsto dal Trattato di Maastricht è ormai un miraggio? Dov'è la politica espansiva Keynesiana? Si tratta, al massimo, di austerità con un piccolo sconto! E come si può risultare credibili quando lo stesso Renzi ha sempre dichiarato che, comunque, l'Italia rispettarà sempre le regole? Se il PD di Renzi esecrasse veramente l'austerità e il pareggio di bilancio avrebbe dovuto presentare, 3 anni fa, in luogo di una riforma costituzionale che (con un parlamento anòdino) rende il paese ancora più permeabile agli ordini della UE, un disegno di legge costituzionale per l'abrogazione di una parte dell'art. 81 della Cost., quella introdottavi nel 2012 (il pareggio di bilancio, appunto). Ancora: perchè, un anno e mezzo fa, la Grecia è stata lasciata sola nella sua (quella sì, vera) polemica contro l'austerità europea? Ma vi è di più: Lord Keynes si rivolterebbe nella tomba se potesse sentire che, dietro l'alibi di un ampliamento del deficit per le (sacrosante) emergenze come il recente sisma e l'accoglienza dei migranti, si concedono in realtà, ancora una volta, sostanziosi sgravi fiscali alle imprese (nonché svariate e disorganiche elargizioni elettorali), come se i problemi del paese fossero sempre l'offerta e la competitività di costo, mentre si destina pochissimo ad investimenti pubblici e welfare. Certe politiche non funzionano perchè sono inappropriate e non colgono l'essenza del problema economico, non perchè le dosi di sconti somministrate le volte precedenti non erano sufficienti. Ciò è stato più che dimostrato dal fallimento della politica di sgravi legati al “contratto a tutele crescenti”. Ma in questo paese, forse, dobbiamo tornare a essere capaci di distinguere la realtà dalla propaganda.
di
Sergio Farris

mercoledì 30 novembre 2016

Trump, risposta alla crisi secolare - di Domenico Moro

http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2016/11/24/48369-trump-risposta-alla-crisi-secolare-e-apertura-della-seconda/

Una analisi di ampio respiro non solo sul senso della vittoria di Trump negli USA, ma che illumina l'intera fase storica, volando alto sopra le chiacchiere e le miserie del sinistrese.

Qui riproduco solo il paragrafo finale, raccomandando la lettura dell'intero articolo.


4. La vittoria di Trump ci parla della necessità di superare l’euro e del socialismo
La vittoria di Trump parla direttamente a noi, cioè all’Europa e alla Germania. E, in secondo luogo, ci dice molto anche sulle tendenze del capitalismo e sulle conseguenze di tali tendenze. Dice in sostanza che la crisi del capitalismo e la conseguente contrazione della base produttiva e nei Paesi centrali porta all’espansione all’estero, che presto o tardi conduce a un contrasto sempre più forte tra capitali e tra stati. Ma dice anche che questa tendenza è stata pesantemente accentuata dalla integrazione europea, specialmente quella monetaria, in particolare dalle misure di austerity. Mentre Trump e Clinton, durante la campagna elettorale, parlavano in termini di migliaia di miliardi da spendere in lavori pubblici, il tanto sbandierato piano di investimenti del presidente della Commissione europea, Claude Junker, si è rivelata sempre più chiaramente come una bufala colossale e la moderatissima richiesta del governo italiano di un piccolo sforamento sui vincoli di bilancio per il terremoto e per l’immigrazione ha dato luogo a una battaglia campale con la Commissione. Chi critica, giustamente, il nuovo volto reazionario degli Stati Uniti trumpiani farebbe bene a domandarsi quanto Trump sia figlio, oltre che della crisi e dell’imperialismo Usa, anche del modo in cui l’Unione economica e monetaria, non solo la Germania, si è mossa negli ultimi anni contribuendo a creare pericolosi squilibri mondiali. Ma in Europa non è possibile neanche pensare a un programma di investimenti pubblici che permettano di riassorbire la disoccupazione e imprimere una crescita all’economia senza aver prima superato i vincoli europei che stanno alla base dell’integrazione valutaria europea e quindi la stessa integrazione valutaria. Infatti, non va dimenticato che l’euro è stato lo strumento che, attraverso la riduzione della domanda e del mercato interni, ha incentivato la spinta verso l’export. L’euro, in questo modo, ha accentuato la tendenza neomercantilista già presente in Germania e ne ha permesso l’estensione al resto dell’Europa, a partire dall’Italia. La ricerca europea di ampi surplus commerciali ha contribuito a produrre importanti squilibri economici a livello mondiale, tra i quali c’è senz’altro il rigonfiamento del debito commerciale statunitense.


Il modo di produzione capitalistico ormai da tempo non è più fattore di sviluppo delle forze produttive. Anzi, sta distruggendo capacità produttiva e risorse umane e ambientali, determinando una inversione radicale nella condizione delle classi subalterne dei Paesi avanzati, rispetto al lungo periodo di sviluppo delle forze produttive e di miglioramento delle condizioni del lavoro salariato, che, pur con alcune interruzioni, è andato dagli anni Ottanta dell’Ottocento alla fine del Novecento. La globalizzazione, iniziata negli anni Novanta, e la crisi scoppiata nel 2007-2008 hanno colpito pesantemente il centro del modo di produzione capitalistico e la sua classe lavoratrice, riproducendo la disoccupazione di massa e portando la povertà persino fra chi lavora. Ma la polarizzazione sociale e il diffuso disamoramento verso la politica e i partiti tradizionali, che ne derivano, sono stati ricondotti in alvei tutto sommato innocui o addirittura controproducenti. La classe lavoratrice rimane nella condizione di spettatrice passiva o di massa di manovra strumentalizzata dai diversi settori in competizione delle élites capitalistiche, come accaduto nelle ultime elezioni presidenziali negli Usa. In Europa, dove pure il tradizionale bipolarismo viene messo in crisi, la classe lavoratrice viene distolta verso obiettivi che non hanno nulla a che fare con i motivi strutturali della crisi, come l’immigrazione, o che spesso sono solo un sottoprodotto del dominio di classe e hanno un impatto del tutto secondario sulle sue condizioni, come la corruzione o i costi della politica. Eppure, segnali positivi ce ne sono stati: Syriza in Grecia, Corbin nel Regno Unito, Podemos in Spagna, Sanders negli Usa. Il punto è che da nessuna parte, dopo i primi risultati positivi, si è riusciti a rompere con il quadro di riferimento ereditato dal periodo precedente, promuovendo una vera autonomia politica di classe. La sinistra non riesce ad avere piena consapevolezza che la fase storica del capitale è cambiata, rendendo obsolete le tattiche e le posizioni del passato, oppure non riesce a tradurre tale consapevolezza in una linea politica conseguente e coerente. Negli Usa, dove il quadro di riferimento è l’alternanza bipartitica, Sanders è stato ricondotto al sostegno di Hillary Clinton e in Europa, dove il quadro di riferimento è l’integrazione monetaria, la sinistra non è riuscita a smarcarsi dal condizionamento dell’europeismo, inteso come valore in sé positivo.

La ricostruzione di una autonomia politica non può passare unicamente per la crisi del centro-sinistra e del centro-destra tradizionali. Passa, in primo luogo, attraverso la capacità di rompere politicamente con qualsiasi illusione di alleanza con i settori della “sinistra” capitalistica che si sono fatti promotori della globalizzazione, i democratici negli Usa e il partito socialista europeo, e con i vincoli che finiscono per neutralizzare le spinte che, nonostante tutte le difficoltà, si producono all’interno delle società avanzate. Ma passa anche per la consapevolezza che, data la fine dei margini delle politiche di redistribuzione, è necessario mettere in discussione i rapporti di produzione esistenti, che stanno alla radice della sovraccumulazione, della distruzione delle forze produttive e della tendenza espansionista delle varie frazioni del capitale. In definitiva, passa per la capacità di ricostruire le coordinate di una prospettiva complessiva di trasformazione della realtà. Né il programma di Trump né quello di Clinton possono risolvere, in ambito capitalistico, la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione che porta alla contrazione delle basi della produzione della ricchezza sociale nei Paesi avanzati. Al massimo possono tamponarla momentaneamente. L’unica soluzione possibile alla crisi del capitale, in ambito capitalistico, sarebbe una distruzione di capitale di dimensioni fino ad ora inimmaginate.

In alternativa, c’è un’unica soluzione. Questa passa per il superamento dei rapporti di produzione privati, basati sull’appropriazione da parte di pochi del massimo profitto possibile. Quindi, la prospettiva su cui la sinistra deve muoversi non può che essere il socialismo, ossia la riconduzione dei mezzi di produzione sotto il controllo dei lavoratori associati secondo un piano razionale, che superi l’anarchia e la concorrenza del libero mercato. Sono proprio la fine delle illusioni legate alla globalizzazione e il ritorno dell’intervento dello Stato nel Paese guida del capitalismo, seppure in forme funzionali all’accumulazione di capitale, a portare una ulteriore prova della necessità e quindi dell’attualità storica del socialismo.

lunedì 21 novembre 2016

La propaganda della disperazione - La ministra Boschi a Brescia



Come a James Bond non bastava il mondo, evidentemente al PD non basta, ai fini della propria azione propagandistica a favore del Sì, l'invasione dei canali televisivi, l'appoggio da parte della Confindustria, da parte delle oligarchie finanziarie internazionali, da parte di Obama e dell'Ambasciata americana, la strumentale dilazione della data del referendum per poter spargere mance elettorali e il gioco sporco consistente nella lettera inviata ai residenti all'estero. Gli manca ancora la gente.
Così, al culmine della fantasiosa costruzione retorica sulle ragioni del SI, sciorinata con un suadente tono da venditrice telefonica dal Ministro Maria Elena Boschi il 12 novembre in una Brescia blindata dalla polizia, è arrivato un disperato appello ai militanti del PD affinchè si attivino, coinvolgendo parenti e affini tutti, per portare in ogni casa (letteralmente porta a porta) e perfino fra i passeggeri degli autobus (è tutto vero, credetemi), l'opera di apostolato per il Sì.
I toni da ultima spiaggia impiegati la dicono lunga sulla reale posta in gioco della partita referendaria: la sopravvivenza stessa del Governo, con l'immagine e l'ego del presidente/segretario che hanno già dovuto subire un'incrinatura a causa dell'insuccesso alle elezioni amministrative della primavera scorsa. Sappiamo tutti che, al di la del merito della (pessima) riforma, il referendum del prossimo 4 dicembre rappresenta anche un giudizio sul Governo capeggiato da Renzi. Teniamo presente, inoltre, che la riforma della Costituzione è diretta emanazione di un'iniziativa legislativa del Governo.
Ma cominciamo con il chiederci perchè il Presidente del Consiglio abbia voluto, salvo poi fare marcia indietro dopo la sconfitta della scorsa primavera, personalizzare e politicizzare il referendum, legandone l'esito alla sua stessa permanenza a Palazzo Chigi. Diversi sono, al riguardo, gli ordini di questioni: anzitutto il fatto che questo governo necessita di una continua legittimazione popolare. Esso è, anzitutto, nato da una clamorosa manovra di palazzo. Ora, questo, di per sé, non è un fatto eccezionale; la maggior parte delle crisi di governo dell'era repubblicana sono state crisi extraparlamentari.
Ma Renzi, per restare in sella, si è anche dovuto barcamenare fra maggioranze parlamentari a geometrie variabili in un Parlamento che sarebbe dovuto essere sciolto dopo la sentenza n. 1 del 2014, con la quale la Corte Costituzionale ha sancito l'illegittimità della legge elettorale c.d. Porcellum.
Renzi si trova costretto, in altre parole, a ricercare una continua legittimazione “diretta” del suo esecutivo, quasi a dover sanare il suddetto vulnus “originario” al tessuto democratico del paese dato dalla sua permanenza al potere grazie alla fiducia di un Parlamento delegittimato.
Il che si sposa con un altro elemento di rilievo, la concezione carismatico-plebiscitaria del potere da parte del Premier, la quale lo ha portato ad ammantare di una sorta di millenarismo messianico il suo ruolo alla guida del Governo. Da qui deriva anche l'intonazione, data alla campagna per il Sì, da “ultima occasione per condurre il paese in una nuova era”.
C'è però un problema: è molto più facile, data la relativa inconsistenza politico-giuridica degli argomenti addotti dal Governo a favore del Sì, sottoporre la riforma a critica piuttosto che sostenerla. E i suoi promotori lo sanno, tanto che il cavallo di battaglia del Ministro Boschi al comizio di Brescia è stato, nientemeno, che “la chiarezza del quesito referendario”. Mi rendo conto che ciò è difficile a credersi, eppure è così! Secondo il Ministro per le Riforme, tanti non hanno letto il quesito che sarà riportato sulla scheda, ma non appena ciò dovesse avvenire, si spalancherebbe una sorta di verità rivelata. E' davvero l'ultima opportunità per cambiare il paese, una riforma per i prossimi 50 anni (non più 30 anni, come si diceva qualche mese fa). “Basta un semplice Sì” non è forse uno degli slogan concepiti dai comitati favorevoli alla riforma? Se non è questa politica-spettacolo, non so cos'altro possa richiamare alla mente.
Dopo questo esordio da incanto, ecco allora la lettura del quesito: “volete superare il bicameralismo paritario, ridurre i costi delle istituzioni, ridurre il numero dei parlamentari, abolire il Cnel e rivedere il Titolo V della Costituzione, semplificando il rapporto fra Stato e Regioni”. E' la materializzazione dei sogni di qualunque cittadino. Come si può resistere a un invito così chiaro e semplice? Impossibile votare No. A meno che non si sia studiata la riforma!
Perchè solo in tal modo si comprende che, facendo un esame controfattuale delle perle di superficialità declamate, nell'ordine che segue, dal Ministro Boschi, i poteri del Governo cambiano eccome; il bicameralismo paritario non è affatto un elemento di arresto del processo legislativo (e, a sentire Maria Elena Boschi, addirittura di blocco delle vite dei cittadini); la riduzione dei costi (ma poi le istituzioni vanno viste come meri centri di costo?) grazie allo sfoltimento dei membri del Senato, se vi sarà, sarà risibile, e, la competitività, la crescita e la giustizia del paese non hanno nulla a che fare con la riforma.
L'ultima l'enormità, prima dell'arringa finale a scegliere il futuro dell'Italia, è poi arrivata col dire che i movimenti per il No non hanno predisposto una proposta di riforma costituzionale alternativa e migliore di quella sottoposta a referendum.
Soltanto che, occorre domandarsi, chi voleva una riforma costituzionale? Nessun cittadino ha in cima alla lista dei propri problemi la riforma della Costituzione. Si è trattato esclusivamente di un'iniziativa governativa rivolta a dare a un governo populista, e che poco conta a livello internazionale, una parvenza di missione innovatrice. Ma, di nuovo, essendo questo governo, dati gli interessi che rappresenta, soltanto in grado di modificare in peggio le vite della maggioranza dei cittadini, sempre nell'ambito della politica-spettacolo la sua riforma si inscrive. Si, perchè il paese, a dispetto della grancassa mediatica schierata a favore di Renzi, a causa della pessima politica economica e del lavoro messa in atto dal Governo non sta affatto uscendo dalle secche della crisi. E se non fosse stato per l'aiuto esogeno fornito dalla politica monetaria di Draghi, la situazione sarebbe perfino peggiore. La realtà è che la riforma mira alla creazione di condizioni interne ideali per un “uomo forte”, che sia al contempo fedele esecutore di ordini esterni provenienti da parte di poteri sovranazionali, pubblici e privati, per proseguire la sua missione originaria: lo smantellamento di ciò che rimane dello “stato sociale”.

mercoledì 9 novembre 2016

12 novembre - presidio a sostegno del popolo curdo - Piazza Loggia di Brescia - ore 15.00

TURCHIA – FERRERO (PRC-SINISTRA EUROPEA): «ARRESTATI DIRIGENTI E DEPUTATI HDP, SIAMO AL FASCISMO: L’ITALIA RITIRI IMMEDIATAMENTE L’AMBASCIATORE E ROMPA RELAZIONI COMMERCIALI»
Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, dichiara:
«Stanotte in Turchia sono stati arrestati i principali dirigenti dell’HDP ed un gran numero di deputati del Partito democratico dei popoli. La repressione del governo di Erdogan contro il popolo curdo non ha limiti e procede di pari passo con l’instaurazione di un vero e proprio regime fascista e totalitario. L’Italia e l’Europa devono intervenire: Erdogan va fermato e il fatto che la Turchia faccia parte della NATO dice solo che accozzaglia di sinceri democratici albergano nell’alleanza atlantica. Il Partito della Rifondazione Comunista è impegnato a costruire mobilitazioni unitarie in tutte le città contro il governo Turco, per la liberazione dei compagni e delle compagne dell’HDP, per la liberazione di Ocalan. Il governo Renzi ritiri immediatamente l’ambasciatore italiano e rompa le relazioni commerciali con il governo turco che sta costruendo un regime fascista».
4 novembre 2016
La federazione di Brescia del Partito della rifondazione comunista aderisce alla manifestazione indetta dalla Rete Kurdistan in 
Piazza Loggia alle ore 15.00 a Brescia
SABATO 12 NOVEMBRE 2016
Qui sotto il volantino di convocazione

mercoledì 26 ottobre 2016

Notizie urgenti dal Venezuela

In attesa dell'incontro di Venerdì 4 novembre 2016 al Centro sociale 28 maggio di Rovato, riceviamo, traduciamo e pubblichiamo questo appello-denuncia del blocco politico-sociale che sostiene il presidente Maduro

Gruppo di indagine del Blocco della Patria.
Caracas, Domenica 23 Ottobre 2016

Che cosa sta accadendo in Venezuela?
1. La destra ha ottenuto la maggioranza dell'Assemblea Nazionale (AN) nel dicembre 2015.

2. Il suo obiettivo principale da quando si è installata in parlamento è stato di spodestare il presidente Nicolas Maduro.

3. Per fare questo, alla destra sono serviti quattro mesi per dibattere quale doveva essere il metodo per buttar fuori il Presidente, prendendo in considerazione almeno i seguenti metodi:
a. Esigere le sue dimissioni.
b. La messa in stato d'accusa.
c. Dichiarare la sua incapacità mentale.
d. Annullamento delle elezioni perché colombiano.
e. Emendamento e / o riforma costituzionale per abbreviargli il mandato.
f. Costituente.
g. Pressione sociale sulle piazze.
h. Referendum revocatorio.

4. Solo alla fine di aprile, hanno deciso di attivare il processo per il referendum di revoca.
a. Avendo attivato il meccanismo in aprile e non in gennaio, quando si era a metà della durata costituzionale della presidenza, la destra non faceva in tempo a dare corso al referendum nel 2016, in quanto i termini stabiliti dalla normativa che ne regola l'attivazione e la convocazione, stabiliscono una procedura che dura più di 260 giorni.
b. Fare questo referendum nel 2017 implica che in caso di successo, chi completa il mandato del Presidente revocato sia il suo Vice Presidente Esecutivo, ciò che comporta sia un o una chavista a completare il mandato presidenziale fino al 2019.

5. Negli ultimi mesi, l'Assemblea nazionale ha deciso di contravvenire alle sentenze del Tribunale Supremo di Giustizia che annullavano i suoi provvedimenti incostituzionali. Per far rispettare la sentenza violata, il Tribunale ha deciso di annullare tutti gli atti della AN fino a quando essa non si adatti al diritto e rispetti la Costituzione.

6. Tuttavia, il presidente Nicolas Maduro ha sempre invitato l'opposizione a un dialogo nazionale per risolvere i conflitti in modo politico e pacifico.
a. Per questi dialoghi ha chiesto la mediazione della UNASUR con la partcipazione degli ex presidenti Rodríguez Zapatero, Martín Torrijos e Leonel Fernández.
b. La destra ha posto come condizione il coinvolgimento del Vaticano, cosa che è stata immediatamente concessa dal presidente Maduro.
c. Tutti i tentativi di dialogo sono falliti finora a causa delle contraddizioni interne dell'opposizione.

7. Per convocare il referendum, la destra in primo luogo ha dovuto raccogliere il 1% delle firme del corpo elettorale, con l'obiettivo di legittimare le organizzazioni politiche promotrici del referendum. Dopo aver fatto questo passo, avrebbero dovuto raccogliere il 20% delle firme del corpo elettorale, come stabilito dalla Costituzione venezuelana.
8. Il diritto doveva raccogliere solo 195.000 firme per soddisfare il requisito dell'1%, tuttavia, ha consegnato al CNE (Comitato Nazionale Elettorale) 1,957,779 firme, fra le quali, nella revisione alla quale erano presenti sia la destra che la Rivoluzione, sono state identificate non meno di 605,727 firme fraudolente, tra le quali:
- 10.995 morti.
- 53.658 persone che non sono registrate nel Registro Elettorale.
- 3.003 minori di età inferiore a 18 anni.
- 1.335 persone interdette per reati gravi (omicidio, traffico di droga, rapina, truffa, abuso sessuale).
- più di 9.000 denunce di furto di identità sono state depositate in tutti gli stati.

9. Anche se il CNE ha trovato queste irregolarità, ammesse dalla Commissione nominata dalla destra per la revisione delle firme, ha proceduto a convocare per il 26, 27 e 28 ottobre, il processo di raccolta del 20% delle firme, con la condizione che avrebbe sottoposto le registrazioni fraudolente ad una indagine giudiziaria.

10. Giovedì 20 ottobre sette tribunali nazionali di stati diversi del Venezuela, sulla base di denunce di cittadini colpiti, hanno disposto misure cautelari ordinando al Comitato Nazionale Elettorale di sospendere tutte le procedure che sono stati generate a seguito della raccolta del 1% delle firme, essendo stato dimostrato il furto massiccio di identità..
- In esecuzione di tali ordinanze giudiziarie, il CNE ha sospeso la raccolta del 20% delle firme.

11. La destra ha reagito accusando il governo del presidente Maduro di aver compiuto un colpo di stato, ma nascondendo la responsabilità della sua dirigenza nella frode dell'1% delle firme.

12. Domenica 23 ottobre l'Assemblea nazionale si è riunita in forma straordinaria, dichiarandosi apertamente in "ribellione" e ha votato i seguenti punti:
a. Dichiarare che il presidente Nicolas Maduro ha compiuto un colpo di stato e ha rotto l'ordine costituzionale.
b. Invitare tutti gli organismi internazionali a applicare sanzioni contro il Venezuela.
c. Denunciare alla Corte penale internazionale i dirigenti del CNE e i giudici che hanno sospeso il processo di revoca.
d. Destituire i dirigenti del CNE e i giudici del Tribunale Supremo di Giustizia.
e. Decidere sulla presunta doppia nazionalità del presidente Maduro, allo scopo di destituirlo.
f. Decidere sull'abbandono della carica da parte del presidente Maduro, allo scopo di destituirlo.

13. Problemi da considerare:
a. Chi ha fatto il colpo di stato contro chi?
b. Se la destra ha commesso frodi nella raccolta dell'1% delle firme, il responsabile è il governo?
c. La destra sta cercando di giustificare un intervento straniero su larga scala con il pretesto della sospensione del processo di revoca e di una presunta crisi umanitaria?
d. Un parlamento sotto scacco giudiziario, può destituire i responsabili elettorali o i magistrati del massimo tribunale del paese, solo perché vigilano sul rispetto della Costituzione e proteggono l'intera nazione da una frode contro la sovranità popolare?
e. Non è per caso un colpo di stato che il Parlamento intenda ignorare tutte le autorità e le decisioni delle altre autorità pubbliche, oltre che cercare la destituzione del presidente attraverso una via incostituzionale?
f. L Cancelleria della Colombia ha inviato una nota ufficiale al Presidente della AN informandolo che in nessuna agenzia del suo governo avevano registrazioni della nazionalità del presidente Nicolas Maduro. Non è forse il caso di un tentativo di colpo pretendere la rimozione di un presidente da tre anni in carica, accusandolo di essere un cittadino di un paese il quale aveva ufficialmente negato questo fatto?
g. Mentre è in corso la sessione della AN, il presidente Maduro è in giro per paesi dell'OPEC e non OPEC stipulando un accordo per stabilizzare i prezzi internazionali del petrolio, base fondamentale dell'economia venezuelana. Non è forse il caso di una azione golpista che tentare la rimozione di un presidente per abbandono del posto, quando è risaputo che è nell'esercizio delle sue funzioni di capo di stato?

h. La gente per strada difenderà la sua costituzione, la sua rivoluzione e il suo presidente legittimo.

lunedì 17 ottobre 2016

Dove va l'America Latina? - Incontro/dibattito al cs 28 Maggio di Rovato


Una discreta aggregazione di forze democratiche e di sinistra è giustamente concentrata sulla manifestazione del NO-RENZI DAY di sabato 22 ottobre a Roma, preceduta dallo sciopero generale proclamato dai sindacati di base per venerdì 21 ottobre. Ed è giusto così: la scadenza referendaria rappresenta per l'Italia un punto di svolta: se passa il SÌ, il lavoro ai fianchi della nostra struttura istituzionale, cominciato vari decenni fa, e che ha marcato già qualche duro colpo nel passato, subirebbe una accelerazione irreversibile, almeno in questa fase. Ma il caso italiano è solo un aspetto di un attacco generalizzato alle basi democratiche ed alle condizioni di vita delle masse popolari del mondo intero, che si sta configurando sempre più come una minaccia incombente anche di carattere militare, come si vede in questi giorni, con i nostri soldati ingaggiati nelle avventure NATO di provocazioni contro la Russia. Ma un altro fronte dove l'imperialismo americano sta spingendo a pieno regime per
restaurare il suo dominio è quello dell'America Latina. Per questo il nostro partito ed il Centro Sociale 28 Maggio hanno organizzato per Venerdì 4 Novembre un incontro al quale sono invitate tutte le donne e tutti gli uomini che hanno a cuore questi problemi, e su questo invitiamo tutte le forze sociali e politiche a partecipare all'iniziativa. La data è ancora abbastanza lontana, e potrebbe consentire a tutti coloro che intendessero dare la loro adesione, di comunicarlo a questo indirizzo e-mail, in modo da poter rendere pubblica la loro eventuale condivisione. In ogni caso auspichiamo che il 4 novembre ci sia una ampia partecipazione, anche per il rilievo degli ospiti che porteranno il loro contributo. In allegato il volantino di convocazione, del quale sono disponibili mille copie che si possono ritirare presso la sede del Prc in via Cassala 34.


VENERDÌ 4 NOVEMBRE 2016
ore 21.00
PRESSO IL CENTRO SOCIALE 28 MAGGIO
via Europa 54 – ROVATO – (BS)
DOVE VA L'AMERICA LATINA?
INCONTRO-DIBATTITO
CON
ISAIAS RODRIGUEZ
AMBASCIATORE della REPUBBLICA BOLIVARIANA
DEL VENEZUELA
CONCLUSIONI
DI
MARCO CONSOLO
RESPONSABILE AMERICA LATINA del DIPARTIMENTO ESTERI PRC
MODERATORE
ATTILIO ZINELLI
(ORGANIZZAZIONE)


venerdì 7 ottobre 2016

Vai qui per vedere i filmati con gli interventi di Corradino Mineo, Dino Greco, Lidia Menapace, Nicoletta Dosio, Armando Spataro, Ferdinando Imposimato, Moni Ovadia, Giorgio Cremaschi per il NO al referendum

Sono in rete i filmati della Quattro giorni organizzata a Rovato presso il Centro Sociale 28 Maggio dal Comitato bresciano per il no al referendum in difesa della democrazia e della nostra Costituzione (vedi il post a questo indirizzo http://rifondazionebrescia.blogspot.it/2016/09/apertura-campagna-del-comitato.html).


Buona visione



GIORNALISTI A CONFRONTO
venerdì 23 settembre ore 21
CORRADINO MINEO (giornalista e politico – senatore della Repubblica)
DINO GRECO (sindacalista e giornalista – responsabile formazione del PRC)

PARTIGIANE A CONFRONTO
sabato 24 settembre ore 21
LIDIA MENAPACE (staffetta partigiana, senatrice della Repubblica, pacifista e femminista)
NICOLETTA DOSIO (storica attivista e portavoce del Movimento No Tav)

MAGISTRATI A CONFRONTO
domenica 25 settembre ore 18
ARMANDO SPATARO (procuratore della Repubblica di Torino)
ERDINANDO IMPOSIMATO (presidente onorario aggiunto alla suprema Corte di Cassazione)

MILITANTI A CONFRONTO
lunedì 26 settembre ore 21
MONI OVADIA (artista vagabondo e politico)
GIORGIO CREMASCHI (sindacalista e militante nei movimenti sociali, coordinatore del Forum Diritti Lavoro)

mercoledì 28 settembre 2016

Anche i residenti temporaneamente all'estero potranno votare il 4 dicembre

Il pinocchio toscano sta usando tutte le armi per ribaltare il risultato del referendum. Perciò è importante usare tutte le opportunità offerte dalla legge per impedirgli di portare a buon fine sul fronte italiano l'attacco che sta portando alle basi democratiche rappresentate da quel che resta della nostra legge fondamentale.Certamente il governo giocherà fino in fondo la carta del voto degli italiani all'estero, dove è già stata inviata in "missione di stato" la "madonna pellegrina". È dunque importante che anche noi ci attiviamo, ed attiviamo tutti i nostri conoscenti:

che per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della medesima consultazione elettorale, nonché ai familiari con loro conviventi.
La citazione è tratta dal testo della circolare del ministero dell'interno emanata oggi 28 settembre 2016. (http://elezioni.interno.it/circolari.html )

Alcune indicazioni essenziali della circolare sono riportate qui di seguito:
La legge prevede che l’opzione per il voto per corrispondenza pervenga direttamente al comune d’iscrizione nelle liste elettorali entro i dieci giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali, con possibilità di revoca entro lo stesso termine (comma 2 del suddetto art. 4-bis).
Peraltro, come già rappresentato con la circolare di questa Direzione Centrale n. 6/2016 in occasione del referendum abrogativo dello scorso aprile - in considerazione dell’esigenza di garantire l’esercizio del diritto di voto costituzionalmente tutelato - i comuni considereranno valide le opzioni che perverranno entro il trentaduesimo giorno antecedente la votazione (2 novembre p.v.), ovverosia in tempo utile per la immediata comunicazione al Ministero dell’interno.
L’opzione dovrà pervenire al comune per posta, per telefax, per posta elettronica anche non certificata, oppure potrà essere recapitata a mano anche da persona diversa dall'interessato ed, in ogni caso, può essere formulata e fatta pervenire anche prima dell’indizione delle consultazioni.
Al fine di facilitare, comunque, la presentazione delle opzioni da parte dei suddetti elettori temporaneamente all'estero, si vorranno sensibilizzare a vista i comuni stessi affinché inseriscano nella home page del proprio sito un indirizzo di posta elettronica non certificata (da monitorare poi con particolare attenzione), utile ai fini della trasmissione delle domande stesse.
Per comodità potete scaricare direttamente al seguente indirizzo il modulo di richiesta in pdf, che può essere compilato direttamente sul computer  se si possiede il programma Adobe Reader, oppure può essere stampato direttamente dal computer, ed essere poi compilato a mano:
http://rifondazionebrescia.it/referendum/costituzione-2016/modulo-residenti-temporanei-estero.html

Chi avesse voglia di informarsi con precisione, trova direttamente l'intera circolare a questo altro indirizzo:
http://rifondazionebrescia.it/referendum/costituzione-2016/Circolare-residenti-temporanei-estero.pdf

mercoledì 21 settembre 2016

La crisi nella gestione dei flussi migratori deriva dal più generale fallimento del neoliberismo

Teseo uccide il minotauro, il mostro
che si cibava di carne umana
I muri e l’ostruzione delle frontiere in Ungheria, Macedonia, Austria, l’uscita della Gran Bretagna dalla UE e l’intento di edificare un muro allo sbocco del tunnel sotto la Manica, sono il portato non solo dell’incapacità dell’Europa di gestire in modo ordinato gli arrivi dei migranti, ma anche del cedimento della globalizzazione liberista e della sua ideologia, basata sulla libertà di movimento dei capitali, delle merci e delle persone.
Nel solo 2015, le richieste di asilo ricevute dai paesi aderenti all'OCSE sono state 1,65 milioni, di cui 1,3 nei paesi europei. Purtroppo le (peraltro incolpevoli) persone sono, rispetto ai capitali, l'elemento più facilmente individuabile e più agevolmente additabile quale cagione (in realtà capro espiatorio) dei problemi.
Il fallimento della globalizzazione neoliberista sta creando mostri e intolleranza.
Ovunque avanzano le destre estremiste e xenofobe, ed è persino sorprendente l’abilità di questi movimenti nel farsi portavoce e alfieri dei ceti disagiati (le vittime del liberismo) presentandosi quali protettori di identità nazionali e di posti di lavoro dinanzi alla asserita minaccia di concorrenza portata dai nuovi arrivati o da coloro che chiedono accoglienza, i quali vengono attaccati persino nei loro usi e costumi.

Donald Trump è candidato alla presidenza negli USA, Marine Le Pen e Norbert Hofer sono in lizza per le elezioni presidenziali rispettivamente in Francia e in Austria. In Germania l’estrema destra di Frauke Petry è ormai insediata in dieci dei sedici parlamenti regionali. Dopo il successo relativo in Meclemburgo Pomerania con il sorpasso dell’AFD ai danni della CDU della stessa Merkel, il 18 settembre la stessa formazione è entrata nel parlamento regionale di Berlino con un consenso di oltre il 14%. La cancelliera tedesca si è precipitata ai ripari. Ha già detto che l'afflusso di migranti in Germania non sarà più di entità pari a quello avuto nel 2015.

Se la crepa più evidente del neoliberismo occidentale è oramai particolarmente palese nella reazione all'immigrazione, non meno rilevante è il sintomo della sua decadenza rappresentato dal calo del commercio internazionale, sul quale si va progressivamente innestando una politica protezionistica.

I paesi emergenti non sembrano più in condizione di compensare il deludente tasso di crescita dei paesi di prima industrializzazione. Le misure protezionistiche sono ormai la norma. E' la stessa WTO ad aver rilevato nel primo quadrimestre di quest'anno 150 misure protezionistiche, delle quali oltre l'80% varate da paesi facenti parte del G20.

Il fallimento del neoliberismo risulta particolarmente notevole alla luce della linea politica che i leaders politici di tutto il mondo hanno scelto (dimostrando una pervicace ottusità ideologica oltre che cointeressenze più o meno esplicite con i protagonisti della finanza globale) per affrontare la crisi economica del 2008. Essi sono, in sintesi, rimasti abbarbicati agli stessi strumenti e allo stesso armamentario ideologico che avevano dominato la cultura politica nei decenni precedenti la crisi. Il “business as usual”, ovvero continuare a lasciar fare al mercato, non ha funzionato. Nulla è stato fatto per ridurre le scandalose disuguaglianze ereditate dai decenni precedenti, le quali hanno semmai mostrato ovunque un incremento. La politica monetaria ultraespansiva adottata dalle banche centrali (una manna per le borse) si è mostrata insufficiente ai fini del rilancio dell'economia globale. Ha piuttosto innescato una guerra valutaria nella quale ciascun protagonista nazionale, in abbinamento con le sempre raccomandate riforme strutturali (ossia bassi salari), cerca di sottrarre quote di mercato ai concorrenti, il che contribuisce a deprimere la domanda mondiale e, daccapo, ad alimentare tentazioni protezionistiche.
Il “Washington consensus” sembra giunto al capolinea. Il mondo non è più unipolare. Il doppio deficit (interno e estero) americano, che poggiava sulla fiducia nel biglietto verde, ha a lungo consentito agli USA l'assorbimento delle eccedenze commerciali estere, ma non poteva espandersi indefinitamente. Lo scoppio della connessa bolla finanziaria ha fatto il resto. Gli Stati Uniti non possono più permettersi di svolgere il ruolo di “Minotauro globale” (definizione di Yanis Varoufakis).
Anche le guerre dichiaratamente finalizzate all'esportazione della democrazia erano funzionali al mantenimento del “Washington consensus”, ma hanno finito per risultare destabilizzanti e ampliative del solco con parte del mondo arabo.

Intanto i politici di casa nostra, con i loro intenti fuori tempo massimo, pensano e agiscono come se il mondo fosse tuttora quello di dieci anni fa, come se il “business as usual” avesse funzionato e si potessero nutrire speranze, grazie alla libera movimentazione di capitali e di flussi finanziari, di armonici effetti risultanti dalle politiche neoliberiste. Solo così si spiega la miope visione che determina l'atteggiamento del Ministro Calenda, favorevole al TTIP, e l'atteggiamento del Presidente Renzi, promotore della riforma costituzionale perché grazie a essa si attirerebbero investimenti. Atteggiamenti anacronistici, ormai sorpassati dagli eventi.

L'ordine mondiale che abbiamo conosciuto negli ultimi 25 anni è al tramonto. Il caos e l'incertezza regnano sovrani. Quando un nuovo ordine internazionale emetterà i primi vagiti non è dato sapere. La fine della storia, declamata da Francis Fukuyama all’indomani della caduta del muro di Berlino, è ancora molto al di là da venire.

Sergio Farris

Con questo scritto del compagno Sergio Farris inauguriamo un nuovo spazio per la partecipazione politica dei compagni, come indicato nella manchette in testa al blog. Speriamo che i contributi giungano numerosi e interessanti come in questo caso. E ricordiamo che chiunque può commentare gli scritti che compaiono sul blog.

giovedì 15 settembre 2016

Apertura campagna del comitato provinciale per il no al referendum - 23, 24, 25, 26 settembre

IN DIFESA DELL A DEMOCRAZIA E DELLA NOSTR A COSTITUZIONE

PER IMPEDIRE LA DERIVA AUTORITARIA E REAZIONARIA

4 serate di dibattito e confronto organizzate al Centro Sociale 28 Maggio via Europa 54 - Rovato
dal Comitato Provinciale per il NO nel Referendum Costituzionale

23 - 24 - 25 - 26 SETTEMBRE

GIORNALISTI A CONFRONTO
venerdì 23 settembre ore 21
CORRADINO MINEO (giornalista e politico, Senatore della Repubblica)
DINO GRECO (sindacalista e giornalista, responsabile formazione del PRC)

PARTIGIANE A CONFRONTO
sabato 24 settembre ore 21
LIDIA MENAPACE (staffetta Partigiana, Senatrice della Repubblica, pacifista e femminista)
NICOLETTA DOSIO (storica attivista e portavoce del Movimento No Tav)

MAGISTRATI A CONFRONTO
domenica 25 settembre ore 18
ARMANDO SPATARO (Procuratore della Repubblica di Torino)
FERDINANDO IMPOSIMATO (Presidente Onorario aggiunto alla Suprema Corte di
Cassazione

MILITANTI A CONFRONTO
lunedì 26 settembre ore 21
MONI OVADIA (artista vagabondo e politico)
GIORGIO CREMASCHI (militante nei movimenti sociali, coordinatore del Forum Diritti Lavoro)

Il principio stabilito dai Padri Costituenti come elemento ispiratore della Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo è più che mai prezioso oggi in cui non solo non vengono rispettati i dettami costituzionali, ma la Costituzione stessa viene manomessa ed è l’arbitrio a farsi legge nelle mani del partito trasversale degli affari che concentra in sé i tre poteri, usandoli come strumento di sfruttamento, repressione sociale, devastazione ambientale. (Nicoletta Dosio)

TUTTE LE SERE FUNZIONERÀ IL SERVIZIO BAR E CUCINA CON SPECIALITÀ GASTRONOMICHE