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venerdì 2 dicembre 2016

Le bugie di Renzi e dei suoi r(o)enzini

Ho letto con interesse misto a sorpresa l'intervento del Segretario Provinciale di 
Abbiamo al governo un partito anti-austerity e non ce ne eravamo accorti


Brescia del Partito Democratico, Michele Orlando, uscito il 17 novembre sui giornali locali. A parte la surreale considerazione tesa a negare l'evidenza riguardo alla strumentalità, in chiave di consenso, dell'astensione italiana in occasione del voto per l'approvazione del bilancio europeo, ciò che suscita maggiore incredulità è il tentativo di descrivere il PD come l'alfiere del Keynesismo in un'Europa dove domina l'indirizzo delle politiche di austerità. Il Partito Democratico, fin dalla sua fondazione nel 2007 da parte di Walter Veltroni, non è mai stato Keynesiano, come non lo sono mai stati Tony Blair o Bill Clinton, a meno che non si intenda per Keynesismo una particolare teoria, definita a suo tempo da Joan Robinson in un modo piuttosto eloquente. L'Unione Europea è basata sull'ordoliberalismo tedesco, cioè su un ordinamento che pone le istituzioni a guardia della sacralità della concorrenza nel mercato. In particolare, ciò determina una costante compressione della domanda interna, al fine di ottenere costanti surplus nei conti con l'estero. L'Unione Europea è fondata sugli avanzi commerciali tedeschi, al cui traino i paesi satelliti devono agganciarsi comprimendo il più possibile i salari, se vogliono restare a far parte del convoglio (e ciò avviene a spese del resto del mondo, esportando deflazione). Nonostante questa Unione Europea fosse già un fallimento conclamato, il Governo di Renzi e Padoan si è posto, fin dal suo insediamento, in perfetta aderenza ideologica e pratica con le politiche da essa richiestegli. Altrimenti per quale ragione, se non per mortificare i salari, è stata fatta, andando contro i sindacati, la peggior riforma del lavoro degli ultimi 30 anni (il jobs act, una delle cosiddette “riforme strutturali”)? Se tutto andrà “bene”, la Commissione Europea ci concederà un margine di flessibilità per raggiungere un deficit, l'anno prossimo, del 2,3% (contro il 2% preventivato). Vogliamo renderci conto che, per adempiere al “Fiscal compact”, persino il famoso 3% di deficit del bilancio previsto dal Trattato di Maastricht è ormai un miraggio? Dov'è la politica espansiva Keynesiana? Si tratta, al massimo, di austerità con un piccolo sconto! E come si può risultare credibili quando lo stesso Renzi ha sempre dichiarato che, comunque, l'Italia rispettarà sempre le regole? Se il PD di Renzi esecrasse veramente l'austerità e il pareggio di bilancio avrebbe dovuto presentare, 3 anni fa, in luogo di una riforma costituzionale che (con un parlamento anòdino) rende il paese ancora più permeabile agli ordini della UE, un disegno di legge costituzionale per l'abrogazione di una parte dell'art. 81 della Cost., quella introdottavi nel 2012 (il pareggio di bilancio, appunto). Ancora: perchè, un anno e mezzo fa, la Grecia è stata lasciata sola nella sua (quella sì, vera) polemica contro l'austerità europea? Ma vi è di più: Lord Keynes si rivolterebbe nella tomba se potesse sentire che, dietro l'alibi di un ampliamento del deficit per le (sacrosante) emergenze come il recente sisma e l'accoglienza dei migranti, si concedono in realtà, ancora una volta, sostanziosi sgravi fiscali alle imprese (nonché svariate e disorganiche elargizioni elettorali), come se i problemi del paese fossero sempre l'offerta e la competitività di costo, mentre si destina pochissimo ad investimenti pubblici e welfare. Certe politiche non funzionano perchè sono inappropriate e non colgono l'essenza del problema economico, non perchè le dosi di sconti somministrate le volte precedenti non erano sufficienti. Ciò è stato più che dimostrato dal fallimento della politica di sgravi legati al “contratto a tutele crescenti”. Ma in questo paese, forse, dobbiamo tornare a essere capaci di distinguere la realtà dalla propaganda.
di
Sergio Farris

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