LA CRISI MAC
di Matteo Gaddi
Nel
caso di
Brescia, la miccia è
stata innescata dall’ennesima situazione di crisi presso la Mac,
società del gruppo Magnetto, che nel 1999 è stata destinataria di
una delle prime operazioni di esternalizzazione di Iveco: ad essa è
stata assegnata l’attività di stampaggio lamiere. Ovviamente non
si è trattata di una operazione indolore per il ramo industriale del
Gruppo Fiat: di conseguenza gli operai bresciani con oltre 40 ore di
sciopero hanno portato a casa un accordo finalizzato a tutelare i
livelli occupazionali attraverso un preciso impegno di Iveco. Inoltre
l’accordo ha disciplinato il trasferimento di ramo di impresa,
prevedendo l'armonizzazione della situazione retributiva e normativa
del personale di Iveco trasferito alla Mac, ma soprattutto stabilendo
in capo a Iveco l’obbligo di riassorbire i lavoratori trasferiti
nel caso in cui si fossero manifestate situazioni di difficoltà
produttive e occupazionali presso le attività esternalizzate. Si è
trattato di un accordo importante perché ha rappresentato la base
per gli accordi che successivamente riguarderanno altri reparti
esternalizzati, come la Fenice, il reparto Plastica o la Manutenzione
ceduta a Comau. La conferma del carattere strategico, per il Gruppo
Fiat, dei processi di esternalizzazione di funzioni produttive –
attuata in più stabilimenti – viene affermata già nelle premesse
dell’Accordo del ’99: “IVECO, anche per lo stabilimento di
Brescia, intende effettuare le operazioni di insourcing/outsourcing
nell'ottica della partnership, mantenendo il governo delle scelte
strategiche per quanto concerne il prodotto… Nelle logiche prima
descritte, rientra il piano di insourcing/ outsourcing delle attività
di Stampaggio Lamiere, dell'Energia ed Ecologia, di GlobaI Service di
Manutenzione, della Plastica e delle attività di salvaguardia del
patrimonio aziendale e dell’antincendio”. Proprio per questo la
Fiom ha inteso costruire un quadro di tenuta a fronte di una volontà
così forte da parte di Iveco di riorganizzare la propria produzione
attraverso lo strumento delle esternalizzazioni. Gli accordi ottenuti
dai lavoratori sembravano funzionare: Iveco intervenne nel 2006/2007
assumendo 90 lavoratori della Mac a seguito di una procedura di
mobilità, così come intervenne nel periodo 2009/2012 assumendo 30
lavoratori. Dei 153 lavoratori trasferiti alla Mac, a seguito delle
crisi produttive e occupazionali e dei riassorbimenti in Iveco, sono
rimasti 84. Nessuno di questi passaggi venne “regalato” ai
lavoratori: in tutte le occasioni, per ottenere il rispetto di quanto
sottoscritto, si resero necessari diversi scioperi ed una vertenza
come quella del 2009 con 76 giorni di presidio. La situazione
precipita in autunno. L’11 ottobre, infatti, scadono i termini
della CIG alla quale si era ricorsi per gestire la crisi Mac del
2009. La Fiom solleva il problema chiedendo l’apertura di un
tavolo, al quale non si presenterà mai il soggetto principale di
tutta la vicenda: l’Iveco. L’iniziale gestione della situazione
di crisi da parte della Mac sembra abbastanza “morbida”: non
viene aperta la procedura di mobilità ma si ricorre all’utilizzo
delle ferie residue. Ma al tempo stesso le dichiarazioni dell’azienda
non lasciano spazio a mediazioni: le testuali parole della dirigenza
Mac parlano di "insostenibilità produttiva", di una
"consistente e repentina riduzione della domanda", dei
"costi fissi troppo elevati". Con queste parole viene
ufficializzata la cessazione di ogni attività di stampaggio lamiere
all'interno dello stabilimento bresciano, per concentrare ogni
lavorazione presso la sede di Chivasso. Riparte, quindi, la lotta dei
lavoratori bresciani, con il blocco di tutto lo stabilimento Iveco;
l’azienda mette in libertà tutto il personale Iveco in quanto in
fabbrica non entrano più materiali, per i camion costretti a lunghe
file dai picchetti su tutti i 5 cancelli. Il Prefetto di Brescia
cerca di definire, con azienda e sindacati, un percorso condiviso per
ridurre «l'impatto sui lavoratori del processo di ristrutturazione
messo in atto dalla Mac». Il percorso individuato prevede l'utilizzo
degli ammortizzatori sociali disponibili: sei mesi di cassa
integrazione in deroga all'esaurirsi della quale sarebbe iniziato un
periodo, due anni, di cassa straordinaria. Il problema è che questo
piano non prevede nessuna garanzia occupazionale: la Fiom aveva
proposto l’utilizzo di 30 mesi di ammortizzatori sociali articolati
in 6 mesi di cassa in deroga, 12 mesi di Cigs più altri 12 mesi. Ad
ogni passaggio di ammortizzatori però l’Iveco avrebbe dovuto
assorbire parte dei lavoratori trasferiti in Mac fino alla completa
copertura di tutte le posizioni lavorative. Invece la disponibilità
dell’Iveco si era limitata al riassorbimento soltanto di un numero
di posizioni lavorative funzionali alle proprie esigenze di organico:
3-4 posti sullo stabilimento di Bolzano e 1 per Torino. Di fronte a
questo bassissimo grado di rioccupazione dei lavoratori Mac viene
perciò convocata una assemblea ai cancelli dove viene distribuito il
testo della proposta definita in Prefettura. La risposta dei
lavoratori non lascia spazio a equivoci: all’unanimità dei
presenti (64) viene bocciata la proposta e altrettanto all’unanimità
viene approvata la posizione della Fiom: i dipendenti Mac
«ribadiscono la validità degli accordi del 1999, del 2009 e del
2011 e gli impegni che Mac e Iveco hanno assunto nei loro confronti
». Inoltre «ritengono utile ricordare che la scelta di
terziarizzare il reparto stampaggio lamiere è stata una scelta di
Iveco e che lo smantellamento definitivo del reparto era stato
collocato nell'ambito di una riorganizzazione aziendale che ha visto
Iveco occupare learee Mac liberate con la dismissione delle linee di
stampaggio». La soluzione di riassorbimento in capo a Iveco si rende
inevitabile per la Fiom, in quanto le aree progressivamente liberate
dalla Mac sono state occupate da attività logistiche
(prevalentemente magazzino) di Iveco, quindi in esse non si possono
più svolgere attività produttive. La vicenda Mac va inquadrata
nell’ambito più generale della situazione di Iveco e di tutta Fiat
Industrial: per questo il 29 novembre la Fiom di Brescia ha
organizzato un primo momento di discussione tra i delegati di tutto
il Gruppo, che sta infatti conoscendo processi di riorganizzazione
sia a livello internazionale che in Italia. La riorganizzazione delle
attività produttive di Iveco è stata illustrata dall’Amministratore
Delegato Alfredo Altavilla in occasione della presentazione del nuovo
Iveco Stralis: il manager ha spiegato che cinque stabilimenti
verranno chiusi in Europa entro la conclusione dell’anno corrente e
che quest’operazione coinvolgerà 1.075 lavoratori. La chiusura
riguarda gli stabilimenti della Francia (Chambery), quello austriaco
di Graz, quelli tedeschi di Goerlitz e Weisweill, mentre quello di
Ulm verrà riconvertito (non produrrà più mezzi pesanti) e
diventerà un centro di eccellenza per i mezzi anti-incendio,
concentrando tutte le attività di questo genere. Le chiusure seguono
quelle avvenute durante lo scorso anno a Barcellona e ad Avellino (lo
stabilimento Irisbus che produceva autobus) e fanno parte di un
progetto di riorganizzazione delle attività produttive di Iveco. Il
Paese in cui Fiat Industrial sta investendo è la Spagna: sono
previsti investimenti per 1,5 miliardi di euro, favoriti da una
generosa politica di sgravi fiscali da parte del Governo spagnolo. Al
sostegno economico del Governo si è aggiunto anche un accordo sul
lavoro pesantissimo: per i turni “normali” (che terminano alle
23) su otto ore vengono previste una sola pausa e la cancellazione
della mensa; con gli straordinari l’orario giornaliero può
arrivare fino a 12 ore al giorno e a 76 settimanali. In questo modo
Iveco ha dunque deciso di concentrare tutta l’attività del mezzo
pesante a Madrid. Poiché le produzioni di Brescia sono classificate
tra quelle del veicolo “medio-pesante”, le sorti dello
stabilimento sono alquanto incerte. Il “pesante” ha già cessato
la produzione nel 2005, è rimasto soltanto il modello Eurocargo, i
cui volumi con la crisi del 2008/2009 sono drasticamente diminuiti:
dai 25.000 veicoli del pre-crisi (che rappresentano anche la capacità
produttiva dello stabilimento) si è passati ai 10.000 del 2009, per
tornare un po’ più su con il dato attuale di 15.000. Si sono persi
comunque due quinti di produzione: dal 2008 a Brescia si è fatto
massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, visto che gli attuali
livelli di produzione non consentono una saturazione occupazionale
superiore alle 1.500 unità a fronte dei 2.400 dipendenti.
Impossibile non temere che non ci siano esuberi se non si mette mano
alla missione produttiva dello stabilimento bresciano. Le linee
installate hanno una capacità di 138 veicoli al giorno: attualmente
funzionano a 110 ma con metà dell’attività (i lavoratori sono in
Contratto di Solidarietà), quindi a 55 veicoli/giorno. Un dato
estremamente basso. Anche presso lo stabilimento di Suzzara, dove si
produce il Daily, non mancano i problemi. L’applicazione del
cosiddetto “regolamento Marchionne” ha “cambiato il mondo”
(come dicono i delegati dello stabilimento): non si è più discusso
di infortuni, gli RLS Fiom non sono più stati riconosciuti, tabelle
e tempi sono stati imposti dalla direzione senza nessun confronto,
inoltre l’organizzazione del lavoro ha cominciato a palesare grandi
inefficienze, con centinaia di “incompleti” dovuti alla mancanza
di pezzi o a difetti dovuti ad una organizzazione della produzione
completamente sbagliata. Ma anziché mettere mano all’organizzazione
del lavoro la direzione aziendale ha pensato di ricorrere a un
ulteriore giro di vite, con lo spostamento della mensa a fine turno e
l’imposizione di straordinari al sabato. Questi elementi hanno
fatto scattare una scintilla: i lavoratori si sono rivolti alla Fiom
che ha organizzato gli scioperi per il sabato in maniera articolata
(a volte al mattino, a volte il pomeriggio): e se le adesioni fino a
qualche mese fa, dopo la “cura Marchionne”, erano del 15%, adesso
sono schizzate all’80%. A Torino, invece, si è assistito alla
sostituzione di tutta la vecchia dirigenza (molto legata alla
mentalità Iveco) con nuovi giovani quadri che danno una immagine di
multinazionale al Gruppo. A Torino in Fiat Power Train si vive una
situazione di attesa; per alcuni prodotti (cambi, motori) la crisi
non è stata avvertita in maniera significativa, per altri (ponti
assali), cioè quelli maggiormente legati alle forniture dirette al
Gruppo Fiat, si sono verificati i problemi maggiori, con il maggior
ricorso alla CIG. Ormai è molto cambiato il rapporto tra produzioni
per Fiat e quella per il mercato: da un rapporto 80%-20% si è
passati ad un 65%-35%. Ormai il 50% delle aree dello stabilimento è
vuoto e si teme la concorrenza di stabilimenti in Argentina e Cina
che producono gli stessi tipi di motori. Anche in questo sito le
novità nell’organizzazione del lavoro apportate hanno avuto
effetti negativi: tenendo conto che nella produzione motori Fiat
Power Train si è concentrata solo sul core business (la testa),
tutte le altre componenti arrivano da fuori, caotizzando la
situazione. Il recente Piano Industriale del Gruppo Fiat presentato
da Marchionne non dice niente a proposito del veicolo industriale:
l’unico obiettivo perseguito è quello di carattere finanziario,
con la fusione tra Fiat Industrial e Case New Holland, onde arrivare
ad unica società da registrare in Olanda (per ragioni fiscali) e
quotare a New York. E così, mentre i concorrenti si attrezzano e
investono (la Man prevede 50 miliardi nei prossimi anni), Fiat
Industrial non sa nemmeno su quali modelli puntare.
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