Secondo gli ultimi dati dell'INPS, fra Gennaio e Ottobre del 2016 sono stati attivati 1.370.320 contratti di lavoro a tempo indeterminato (che in verità, come ben sappiamo e come gli stessi dati sui licenziamenti più avanti mostrano, a tempo indeterminato propriamente proprio non sono). Questi nuovi contratti comprendono, ovviamente, le trasformazioni nella modalità del contratto 'a tutele crescenti' di rapporti lavorativi già esistenti. Le cessazioni sono state 1.308.680, per un saldo di +61.640 unità. Nel corrispondente periodo del 2015, il saldo, tenute sempre in debito conto le trasformazioni, era stato di +588.039 contratti (si fa per dire) stabili. Il dato del 2016 fa quindi registrare un peggioramento dell'89% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, e un peggioramento persino nei confronti del 2014. Lo stesso INPS fa osservare che tale crollo è ascrivibile alla netta riduzione degli incentivi a favore delle imprese. Le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 32% e aumentano visibilmente (per effetto dell'avvenuta soppressione dell'articolo 18) i licenziamenti per motivi 'disciplinari' (+27,4%; cosa dedurne? Il 'jobs act' funziona!).
Continua, denotando un'impressionante accelerazione, la corsa ai 'voucher', con un incremento percentuale del 32,3% soltanto nei primi dieci mesi dell'anno ancora in corso (per un vertiginoso totale di 121 milioni e mezzo di 'buoni' venduti).
Delineata la situazione, suonano alquanto distoniche le dichiarazioni del fallimentare (ma saldamente in sella) Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Da un lato, questi dice di essere pronto a “rideterminare dal punto di vista normativo il confine nell'uso dei voucher” e, dall'altro, dice che “il 'jobs act' è stata una buona legge, quindi non vi è ragione di intervenirvi”. Ora, chiunque è in grado di capire che, per quanto attiene al proposito di intervenire con una modifica nel regime normativo che discplina i 'voucher', l'ascoso intento è quello di neutralizzare (in caso di ammissibilità) l'indizione del Referendum con il quale la CGIL punta all'abolizione del suddetto obbrobrioso strumento e, verosimilmente, di adottare qualche illusorio provvedimento da dare in pasto “all’esercito di precari e voucheristi che (si suppone, visto anche l’alto dato giovanile registrato) ha votato No al referendum del 4 dicembre”. (1)
Mentre, ampliando la visuale, per quanto attiene ai magnifici risultati delle riforme del lavoro targate Poletti, ricordiamo, giusto per avere un'idea delle dinamiche tendenziali, che le assunzioni, riferite ai soli datori di lavoro privati, nel periodo gennaio-ottobre 2016 sono risultate 4.833.000, con una riduzione di 347.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-6,7%). Nel complesso delle assunzioni sono comprese anche le assunzioni stagionali (491.000).
Il fatto è che, al di là degli ormai scontati proclami propagandistici, l'attuale governo (clone del precedente) non può avere intenzione di effettuare alcuna sostanziale inversione di rotta rispetto alla ormai metastorica tendenza neoliberale che ha alienato a Renzi gran parte delle simpatie su cui questi ha, per un breve periodo, potuto contare. Al fondo, vi è sempre la vetusta idea in base alla quale l'impresa che massimizza i profitti genererebbe benefici diffusi, mentre il lavoro sarebbe un mero onere, un ostacolo a una competitività da portare allo spasimo.
Con l'idea di continuare ad agire dal lato dei costi per accrescere la competitività, non si fa altro che, in assenza di un consistente impulso al lato della domanda interna, finire in una situazione che Keynes definì 'equilibrio di sottocupazione', in una situazione cioè in cui il sistema economico, pur in presenza di livelli salariali ridotti, non si colloca vicino alla piena occupazione.
Sarebbe tempo che forze politiche e organizzazioni sindacali gettassero alle ortiche il ciarpame ideologico degli ultimi trenta anni.
Sergio Farris, 19/12/2016
1) Antonio Sciotto, 13 dicembre 2016: I dati confermano il «Flop Act» ma Poletti resta al governo
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