martedì 25 luglio 2017
martedì 20 giugno 2017
IL CASO MURA
Alle ultime elezioni amministrative (11 giugno 2017) è scoppiato il caso del Comune di Mura, dove è stata presentata la "Lista Civica - P.S.N."associata al Movimento "Fascismo e Libertà".
Di seguito una breve cronistoria di questo movimento e del caso Mura.
Il "Movimento Fascismo e Libertà" nasce nel 1991 da una scissione interna al Msi (Movimento Sociale Italiano) ad opera di Giorgio Pisanò.
A Brescia il movimento si presenta alle elezioni comunali nel 1992, il Segretario provinciale è Ezio Torchiani che rimarrà in carica fino al 1995, successivamente gli subentrerà Simone Ticozzi.
Dal 2012 il Movimento si espande, presentando una sede a Lumezzane e presentandosi anche alle elezioni nel Comune di Chiari con Luca Vezzoli nel 2016.
Nell'ottobre dello stesso anno i riflettori si accendono e gli Onorevoli Lacquaniti, Bordo, Gitti e Sberna del Partito Democratico presentano un'interrogazione parlamentare che si tramuterà in un esposto in procura affinché si valutino i " profili di illiceità" in rapporto all'affissione dei manifesti a Chiari.
Il 9 gennaio 2017 viene presentato un esposto in Procura da otto Associazioni antifasciste del territorio contro appunto l'affissione dei manifesti a Chiari.
Il 14 maggio il movimento "Fascismo e Libertà" deposita al Comune di Mura la "Lista Civica - P.S.N." dove il Candidato Sindaco è Mirko Poli, già Responsabile della Sede di Lumezzane ed ora Vicesegretario del Partito per l'area Nord-Est.
Il 30 maggio il Coordinamento Antifascista e Antirazzista distribuisce a Mura il volantino che alleghiamo
Di seguito una breve cronistoria di questo movimento e del caso Mura.
Il "Movimento Fascismo e Libertà" nasce nel 1991 da una scissione interna al Msi (Movimento Sociale Italiano) ad opera di Giorgio Pisanò.
A Brescia il movimento si presenta alle elezioni comunali nel 1992, il Segretario provinciale è Ezio Torchiani che rimarrà in carica fino al 1995, successivamente gli subentrerà Simone Ticozzi.
Dal 2012 il Movimento si espande, presentando una sede a Lumezzane e presentandosi anche alle elezioni nel Comune di Chiari con Luca Vezzoli nel 2016.
Nell'ottobre dello stesso anno i riflettori si accendono e gli Onorevoli Lacquaniti, Bordo, Gitti e Sberna del Partito Democratico presentano un'interrogazione parlamentare che si tramuterà in un esposto in procura affinché si valutino i " profili di illiceità" in rapporto all'affissione dei manifesti a Chiari.
Il 9 gennaio 2017 viene presentato un esposto in Procura da otto Associazioni antifasciste del territorio contro appunto l'affissione dei manifesti a Chiari.
Il 14 maggio il movimento "Fascismo e Libertà" deposita al Comune di Mura la "Lista Civica - P.S.N." dove il Candidato Sindaco è Mirko Poli, già Responsabile della Sede di Lumezzane ed ora Vicesegretario del Partito per l'area Nord-Est.
Il 30 maggio il Coordinamento Antifascista e Antirazzista distribuisce a Mura il volantino che alleghiamo
Il 31 maggio l'Onorevole Lacquaniti presenta un'interrogazione parlamentare al Ministro Minniti mettendolo a conoscenza di quanto stia accadendo a Mura, ad oggi non c'è stata alcuna risposta.
l'11 giugno si svolgono le Elezioni amministrative e la "Lista Civica - P.S.N." ottiene 41 voti pari all'11, 81% abbastanza per ottenere tre Consiglieri di minoranza: Mirko Poli, Simone Cinelli e Virgilio Poli.
Due giorni dopo l'Onorevole Lacquaniti annuncia la richiesta di un incontro urgente con il Prefetto di Brescia.
Il 15 giugno il Prefetto di Brescia inoltra al Ministero degli interni una dettagliata relazione sulla vicenda di Mura ed allo stesso tempo sempre il deputato bresciano Lacquaniti scrive una lettera aperta al Prefetto di Brescia per invitarlo a tenere alta la guardia sull'inquietante episodio di Mura.
DI SEGUITO IL COMUNICATO STAMPA E LA LETTERA APERTA INVIATA ALLA PRESIDENTE DELLA CAMERA ON. LAURA BOLDRINI CON FIRMATARI:
- Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Brescia
- Centro Sociale 28 Maggio 1974 di Rovato
- Coordinamento Antifascista e Antirazzista della Valtrompia
martedì 13 giugno 2017
mercoledì 31 maggio 2017
Aggressione al Venezuela - Dossier
Giornalista aggredito durante una "pacifica dimostrazione in Venezuela. Vedi il dossier presentato con questo post |
Non per nulla il "Premio Nobel per la Pace" Obama - vergogna sempiterna a questo premio - aveva dichiarato il Venezuela una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti d’America.
Mentre dalla "nostra parte" ben pochi sembrano sentire l'esigenza di ascoltare l'ammonimento che l'ex presidente dell'Uruguay e, in precedenza, ex guerrigliero Tupamaro, ed attualmente impegnato con altri leader latino-americani a cercare una composizione pacifica dell'emergenza venezuelana, ha rivolto innanzitutto ai popoli latino-americani - ma si tratta di un ammonimento valido per tutti i popoli del mondo.
"Quello che mi spaventa di più del Venezuela è l'opposizione, o una gran parte di essa. Credo che ci sia un clima di radicalizzazione che si è trasformata in irrazionale e che nel lungo periodo finisca per favorire la destra. Questo è molto pericoloso dato che c'è Trump negli Stati Uniti. Siamo ormai abituati alla retorica della difesa della democrazia, dei diritti umani, contro le armi di distruzione di massa. E dopo arriva sempre il terribile intervento armato degli Stati Uniti. Il peggio che possiamo fare come latinoamericani è fare da sponda all'interventismo. La radicalizzazione e quello che sta facendo Almagro nell'OSA è un pericolo, non solo per il Venezuela, ma per tutto il continente".E potremmo aggiungere "per tutto il mondo". Invitiamo a leggere il dossier che potete trovare a questo link:
http://rifondazionebrescia.it/internazionale/venezuela/AGGRESSIONE-VENEZUELA-maggio-2017.html
giovedì 25 maggio 2017
Il Venezuela potrà essere finalmente una VERA primavera
Un discorso sulla guerra che si vive in Venezuela
Pubblicato il 19 mag 2017
da http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=29165
da http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=29165
Pubblichiamo un contributo da Caracas che ci ha inviato Julián Isaías Rodríguez Díaz, Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia.
L’Ambasciatore si trova in questi giorni in Venezuela dove è stato nominato dal Presidente costituzionale Nicolàs Maduro come Vice-Presidente della Commissione Presidenziale per la definizione delle modalità dell’Assemblea Nazionale Costituente.
Classe 1942, originario di Guarico, avvocato con specializzazione in diritto del lavoro, professore universitario, durante la Presidenza di Hugo Chavez è stato senatore, membro dell’Assemblea Costituente, Vice-presidente della Repubblica. Ha ricoperto inoltre la carica di Procuratore Generale e di giudice della ‘Sala Costituzionale del Tribunale Supremo’. Prima di essere nominato Ambasciatore in Italia nel 2011 è stato Ambasciatore in Spagna.
UN DISCORSO SULLA GUERRA CHE SI VIVE IN VENEZUELA
Fino a qualche giorno fa mi trovavo a Roma. Tenevo conferenze nelle università italiane sulle guerre cibernetiche. Le identificavo come guerre di quarta o quinta generazione. Le assimilavo ai colpi di Stato “morbidi”, come quelli del Brasile e del Paraguay. O alle rivoluzioni colorate dell’Europa dell’Est. O alle cosiddette “primavere arabe”. Ma una cosa è preparare un discorso per un evento accademico e un altro vivere questi colpi di stato “morbidi”, come colpi di stato armati, o subire le “primavere” come inverni freddi pieni di alberi spogli, senza foglie, senza fiori ed apparentemente senza vita.
Quando ti rendi conto che, al posto delle bombe, ti lanciano rapporti informativi e notizie estratte surrettiziamente da server nemici sconosciuti e che questi si infiltrano nel tuo computer o nel tuo telefono cellulare per distruggere le reputazioni; quando vedi come bloccano le pagine web a pochissimi passi da te e constati l’occupazione del territorio del tuo Paese condotta attraverso manipolazioni, sabotaggi o trasfigurazione delle notizie, i discorsi accademici ti stanno molto stretti e ti si drizzano i capelli.
È una vera guerra cibernetica! Fai fatica allora a descrivere gli opposti schieramenti. Gli attacchi sono reali. Con tutte le loro dimensioni e i loro scenari. Una popolazione stordita e inerme, gruppi di attivisti, schiere contrapposte di soldati in guerra, poliziotti che rischiano la vita, criminali con il viso coperto o con un fazzoletto legato alla testa come se stessero attraversando un deserto, crackers, società mercenarie, sicari travestiti da gente comune, barriere metalliche nelle strade, unità di intelligence e giovani che sembrano come narcotizzati, che agiscono difendendo un ideale che non arriva ai destinatari, per la violenza con la quale si scagliano contro chiunque abbia una telecamera o un cellulare (avversario o no) che li mette a rischio di essere identificati.
È in questi momenti che si diventa capaci di credere che gli Stati Uniti stiano usando il Venezuela come un laboratorio per testare, in scala ridotta, come potrebbe essere la terza guerra mondiale dello spazio cibernetico. La riflessione allora ci salta agli occhi come un animale ferito in una spedizione in mezzo a una foresta non da finzione. Ciò è preoccupante non solo per l’America Latina e per il Venezuela, è preoccupante per l’intero mondo civile, che non vuole tornare a vivere né il nazional-socialismo, né il franchismo.
Le difficoltà nel poter identificare gli autori degli assalti, e la mancanza di esperienza in scontri di questo genere corrispondono a una scalata più “ciberbellica”, che cibernetica.
No, non è una guerra di quarta generazione, sono azioni reali che si percepiscono attraverso i sensi, anche in quei casi in cui non hanno alcun significato. A questo cerca di condurci questa guerra sotterranea. Mi rifiuto di vederla in altro modo se non come guerra sotterranea. Alcuni dei partecipanti a questo dramma hanno interessi che non sento molto puri. È una Pearl Harbor digitale, in cui si sviluppano armi ibride in una zona grigia.
Una specie di WikiLeaks misto con Anonymous, ma con armi lunghe, corte e letali, nascoste in fazzoletti grandi, in fondine scure e in borse facili da trasportare.
Il peggio è che spesso le voci più allarmiste risultano false e, al contrario, quelle meno altisonanti risultano gravi. I giornalisti scoprono che è quasi una lotta di tutti contro tutti, nella quale sofisticati virus informatici di origine ignota ti sorprendono con bugie delle quali è impossibile dubitare.
L’hackeraggio è contro i nemici e contro gli amici, e perfino interno alle fazioni che condividono lo stesso credo. È una vera giungla nella quale gli animali sono “il polpo” e “il ragno” (vie di comunicazione che sembrano ponti su Caracas) e dove i macchinari che dissuadono dalla ribellione sono “il rinoceronte” e “la balena” (camion con idranti per disperdere i manifestanti).
Quanto alla parete di metallo che viene collocata come barriera dalle forze dell’ordine pubblico, questo popolo con un’immaginazione indemoniata la chiama “pipistrello”, perché allarga le sue ali di metallo sulle vie urbane e interrompe le strade come il muro che Trump ha progettato per la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti.
È una vera guerra e non un discorso. È l’anarchia più assoluta e più scriteriata. Nella guerra ci sono norme, schieramenti delimitati, obbiettivi e responsabilità che possono essere perfettamente individuati. Quello che accade in questo che sembra un assalto simile a quelli che nel Medio Evo si facevano contro “le città assediate”, è un tutti contro tutti nel quale diversi gruppi usano strumenti legali e illegali, sterco umano, bottiglie molotov, armi da fuoco di costruzione artigianale, gas, cuscinetti a sfera, pistole per abbattere e macellare animali. Una specie di selvaggio west prima dell’arrivo della Legge con indiani e “pacifici e religiosi colonizzatori”.
È possibile che, come in Vietnam, il caos che gli Stati Uniti sperimentano come laboratorio in territorio venezuelano gli si possa rivoltare contro.
Così capiranno che questo continente non è più una loro proprietà, né il loro cortile di casa. Sì, siamo coscienti del fatto che dopo tutto la guerra non può esistere senza che vi sia prima una pace ordinata.
Questa presunta pace è quella che esisteva in America Latina quando il Dipartimento di Stato statunitense riteneva che questo continente fosse suo, in virtù della dottrina Monroe. Ora la pace più che ordinata è organizzata e oppone resistenza. Si può piegare come una palma ma si alzerà di nuovo senza che la spezzino mai. È una pace nuova, piena di dignità, e questa sì che può essere chiamata “primavera”, perché non la fiaccano i colpi di Stato, né quelli morbidi, né quelli duri.
La nostra geografia è arrivata ad essere un ciberspazio nel quale la ciberguerra non serve per addomesticare né per schiacciare i popoli.
Caracas, festa della mamma in Venezuela. Dedicato a tutte le donne che hanno partorito questa rivoluzione.
¡HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!
domenica 21 maggio 2017
Tu da che parte stai? - Con la classe operaia, dice qualcuno che è contro Maduro
[da abc.com-py] giornale online paraguaiano https://s3-sa-east-1.amazonaws.com/ assets.abc.com.py/2017/04/19/ una-manifestante-cubre-su-rostro-con- una-mascara-antigas_970_646_1482882.JPG |
Siamo ormai abituati alla retorica della difesa
della democrazia, dei diritti umani, contro le armi di distruzione di
massa. E dopo arriva sempre il terribile intervento armato degli Stati
Uniti. Il peggio che possiamo fare come latinoamericani è fare da sponda
all'interventismo ("Pepe Mujica, ex presidente dell'Uruguay, uno dei mediatori per una soluzione pacifica della situazione venezuelana)
La
situazione internazionale si fa sempre più grave. I focolai di guerra
guerreggiata sono sempre più numerosi e scottanti, con tutti gli organi
di comunicazione in mano ai padroni, e con una miriade di servi sciocchi
al seguito.Vedi ai seguenti link:
http://rifondazionebrescia.it/internazionale/venezuela/DOSSIER%20VIOLENZA%20VENEZUELA%20IT.html
http://rifondazionebrescia.it/internazionale/venezuela/Vittime-della-violenza-della-destra.html
a cura di webmaster
domenica 14 maggio 2017
Ancora sulla delegazione italiana nel Donbass: la parola ai protagonisti
Filmato che annuncia la partenza
Roma, 6 Maggio 2017. Eleonora Forenza replica all'accusa di terrorismo ed alla richiesta di estradizione inviata dal Ministero degli Esteri ucraino al governo
italiano in seguito alla sua partecipazione alla carovana di solidarietà con la popolazione del Donbass promossa dalla Banda Bassotti.
Roma, 8 maggio 2017. Eleonora Forenza e altri membri della carovana tengono una conferenza-stampa presso la sede del Parlamento Ue a Roma, in via IV Novembre 149
Intreventi di:
Eleonora Forenza - Parlamentare europea del gruppo GUE - NGL (Gauche Unie Européenne - Nordic Green Left - in italiano Sinistra unita europea Nordica Verde Sinistra)
David Cacchione - Manager della Banda Bassotti
Paola Palmieri - Dipartimento Internazionale USB
Marco Santopadre - Rete dei Comunisti
Andrea Ferroni - Portavoce nazione dei Giovani Comunisti (PRC)
Veterano anonimo della carovana - ricorda le qualifiche di "rossobruni" e "campisti" rivolte ai sostenitori del Donbass dagli (s)qualificati esponenti della "sinistra rivoluzionaria" - Tutto il mondo italiano, evidentemente è inquinato da questa peste.
Eleonora Forenza, europarlamentare nelle fila del GUE, eletta nella Lista Tsipras - L’Altra Europa, partecipa alla terza carovana antifascista per il Donbass.
La carovana, organizzata dalla Banda Bassotti, si recherà a Donetsk e a Lugansk per portare farmaci e aiuti di prima necessità alle popolazioni del Donbass.
Il governo ucraino ha chiesto all'Italia di arrestare e deportare in Ucraina i partecipanti alla "carovana antifascista nel Donbass. Si tratta di un governo che è l'erede, con poche varianti sostanziali, di quello che aveva nazisti dichiarati e cittadini americani in posti chiave a qualificarne l'orientamento, e che era stato portato al potere con un violento colpo di stato, grazie alla tattica standardizzata di "far scoppiare" una "rivoluzione colorata" [leggi Open Society Institute, cioè il miliardario tedesco-ungherese-americano-israeliano Soros], "rivoluzione colorata" portata avanti con l'appoggio di mercenari e fascisti, e con i soliti noti "rivoluzionari" nostrani che inneggiavano ai "nuovi soviet".
Qui sotto le dichiarazioni di Eleonora Forenza al momento del suo ritorno a Roma il 6 maggio.
Il governo ucraino ha chiesto all'Italia di arrestare e deportare in Ucraina i partecipanti alla "carovana antifascista nel Donbass. Si tratta di un governo che è l'erede, con poche varianti sostanziali, di quello che aveva nazisti dichiarati e cittadini americani in posti chiave a qualificarne l'orientamento, e che era stato portato al potere con un violento colpo di stato, grazie alla tattica standardizzata di "far scoppiare" una "rivoluzione colorata" [leggi Open Society Institute, cioè il miliardario tedesco-ungherese-americano-israeliano Soros], "rivoluzione colorata" portata avanti con l'appoggio di mercenari e fascisti, e con i soliti noti "rivoluzionari" nostrani che inneggiavano ai "nuovi soviet".
Qui sotto le dichiarazioni di Eleonora Forenza al momento del suo ritorno a Roma il 6 maggio.
Roma, 6 Maggio 2017. Eleonora Forenza replica all'accusa di terrorismo ed alla richiesta di estradizione inviata dal Ministero degli Esteri ucraino al governo
italiano in seguito alla sua partecipazione alla carovana di solidarietà con la popolazione del Donbass promossa dalla Banda Bassotti.
Roma, 8 maggio 2017. Eleonora Forenza e altri membri della carovana tengono una conferenza-stampa presso la sede del Parlamento Ue a Roma, in via IV Novembre 149
Intreventi di:
Eleonora Forenza - Parlamentare europea del gruppo GUE - NGL (Gauche Unie Européenne - Nordic Green Left - in italiano Sinistra unita europea Nordica Verde Sinistra)
David Cacchione - Manager della Banda Bassotti
Paola Palmieri - Dipartimento Internazionale USB
Marco Santopadre - Rete dei Comunisti
Andrea Ferroni - Portavoce nazione dei Giovani Comunisti (PRC)
Veterano anonimo della carovana - ricorda le qualifiche di "rossobruni" e "campisti" rivolte ai sostenitori del Donbass dagli (s)qualificati esponenti della "sinistra rivoluzionaria" - Tutto il mondo italiano, evidentemente è inquinato da questa peste.
sabato 13 maggio 2017
Il governo ucraino chiede l'arresto per terrorismo di Eleonora Forenza, di Giorgio Cremaschi, della Banda Bassotti e di tutti gli attivisti che si sono recati in Donbass
Il governo ucraino chiede l'arresto per terrorismo di Eleonora Forenza, di Giorgio Cremaschi, della Banda Bassotti e di tutti gli attivisti che si sono recati in Donbass
Ordine
del giorno - Comunicato-stampa
Il
Comitato Politico Provinciale di Brescia, riunito in data 11 maggio
2017, preso atto della richiesta, fatta
al governo italiano da parte
del governo dell'Ucraina, di
procedere all'arresto ed alla estradizione verso
l'Ucraina della nostra
compagna parlamentare
europea Eleonora Forenza, di
Giorgio Cremaschi, dei membri del gruppo musicale della Banda
Bassotti e di altri militanti ed attivisti politici e sindacali che
hanno preso parte alla Carovana Antifascista
di solidarietà nel Donbass
esprime
sulla
scia delle nette prese di posizione espresse al
più alto
livello dal segretario
politico nazionale
Maurizio Acerbo, la
propria totale solidarietà alle
compagne e ai compagni,
colpiti dalle autorità ucraine con la grottesca accusa di
“terrorismo”,
stigmatizza
l'operato
del governo italiano che mantiene
i più cordiali rapporti con un governo che è al potere in
continuità con
sommovimenti, che qualcuno chiama “rivoluzione” ed altri “colpo
di stato”, ma nei quali è del tutto acclarato il ruolo della
componente dichiaratamente nazista che si richiama direttamente ai
capi delle milizie Ucraine che combatterono a fianco di Hitler
durante la seconda guerra mondiale, componente che anche attualmente
riveste ruoli chiave nel governo ucraino; e
che, di fronte alle surreali
richieste di arresto e di
estradizione da parte del
governo di Kiev, per
esplicita dichiarazione del ministro degli esteri dell'Ucraina,
si sarebbe limitato a ribadire l'amicizia italiana col governo di
Poroshenko.
ribadisce
la
propria crescente inquietudine per la corrività del governo italiano
verso il risorgente fenomeno della diffusione in Italia delle
ideologie e delle pratiche fasciste, corrività che ora giunge al
punto di non reagire di fronte ad un attacco portato contro
i propri concittadini da un
governo estero che conferma la sua matrice, qualificando come
“terrorista” una “Carovana
antifascista in Donbass” la
quale,
tra
l'altro,
ha
voluto incontrare testimoni e sopravvissuti della strage del 2 maggio
2014 nel Palazzo dei sindacati di Odessa, strage
di
carattere inequivocabilmente fascista,
e che
nel Donbass
ha portato, come
“ordigni
di terrore”,
medicinali e giocattoli alle popolazioni martoriate dalla guerra.
Per
tali motivo il Comitato Politico Provinciale di Brescia
esige
dal
governo italiano un chiaro e deciso rigetto delle pretese assurde
e provocatorie del governo dell'Ucraina.
Il
Comitato Politico Provinciale del Partito della Rifondazione
Comunista di Brescia
martedì 9 maggio 2017
Maurizio Acerbo: no a Pisapia, vuole un Pd 2.0
Intervista ad Acerbo (Prc): «Una sinistra pacifista con D’Alema? Surreale. E no a Pisapia, vuole un Pd 2.0»
Pubblicato il 9 mag 2017
il manifesto -Intervista/Alleanze. Il neosegretario: non siamo interessati a listoni che abbiano come obiettivo l’alleanza col Pd prima o dopo le elezioni. Renzi è un avversario, non uno da cui andare a mendicare un premio di coalizione
di Daniela Preziosi -
Maurizio Acerbo, la sua prima mossa da nuovo segretario del Prc è dire no a Campo Progressista di Pisapia?
Semplicemente non siamo interessati a una “sinistra” come la propongono Pisapia e in maniera meno netta altri, cioè listoni che abbiano come obiettivo l’alleanza col Pd. Prima o dopo le elezioni.
Renzi è un avversario da combattere non uno da cui andare a mendicare un premio di coalizione. Pisapia propone un nuovo centrosinistra, noi una nuova sinistra alternativa al Pd.
Dunque vi rivolgete a Sinistra italiana. Che però dialoga con D’Alema e i suoi di Art.1.
A Bruxelles facciamo parte del Gue e del partito della sinistra europea. Partito a cui Si ha deciso di aderire al congresso, dichiarando chiusa l’esperienza con il centrosinistra. Ci sono le condizioni per un processo unitario. Magari con la modalità della “confluenza” nata nella Barcellona di Ada Colau: senza sciogliere i partiti tutte le organizzazioni fanno un passo indietro per farne due avanti in termini di partecipazione. Tergiversare mi sembra un grave errore politico.
Non vedo perché l’Italia debba essere l’unico paese europeo senza una formazione unitaria della sinistra antiliberista con dimensioni di massa. Noi non ci rivolgiamo solo a Si, ma a tutti i mondi che hanno costruito con noi l’esperienza dell’Altra Europa, a De Magistris, a Possibile, alle Città in comune, a Diem, al coordinamento per il No sociale, alle altre formazioni comuniste, a compagne e compagni attivi nei movimenti sociali. La sommatoria fra sigle non ha senso.
Ma non vi rivolgete a Art.1.
Senza fare l’esame del sangue a nessuno, i promotori di Art.1 sono stati fino a ieri dall’altro lato della barricata. E sono ancora nella maggioranza di governo. Che la sinistra antiliberista e pacifista possa essere diretta da D’Alema e Bersani mi sembra surreale. Qualsiasi programma antiliberista decente dovrebbe prevedere l’abrogazione di centinaia di provvedimenti che loro hanno promosso e votato.
Quindi a sinistra del Pd ci saranno almeno due liste?
Spero che ci sia una credibile lista della sinistra, quella che ho delineato. Non sono io che devo dire cosa devono fare gli altri. Magari se ci sarà il premio di coalizione Mdp sarà alleato del Pd. A noi invece interessa che ci sia un soggetto unitario alternativo al Ps e al Pse e alle politiche dell’Unione europea condivise da centrodestra e centrosinistra. Insomma ci interessa una soggettività simile a Unidos Podemos, a Syriza, alla Francia Ribelle. Dico a tutti, da Fratoianni a De Magistris, che è ora di darsi una mossa. Attendere la legge elettorale o saltare il giro non mi sembrano buone soluzioni.
La pregiudiziale anti Pisapia varrebbe anche nel caso in cui Renzi dicesse no?
Ma di cosa parliamo? Pisapia ha votato sì al referendum sulla Costituzione. Non è questione di persone ma di credibilità di un progetto politico. Noi siamo dei senza potere oscurati dai media: non siamo in grado di mettere pregiudiziali. Però non per questo andiamo in giro con il cappello in mano in cerca di un seggio. Pisapia non vuole una sinistra come Mélenchon. Noi facciamo parte del partito europeo di Mélenchon. Pisapia vuole allearsi col Pd di Renzi, noi no. Propone un nuovo centrosinistra, noi una nuova sinistra. Questi progetti di Pd 2.0 servono solo a procrastinare la costruzione di una sinistra radicale e popolare, alternativa al neoliberismo, indipendente dagli oligarchi dei media e della finanza.
Non ha paura della ridotta della sinistra?
In Europa le sinistre radicali non sono minoritarie. In tutta Europa c’è una sinistra come quella di cui parlo e ha dimensioni non trascurabili, in alcuni paesi ha superato gli ex-socialisti, in altri li ha letteralmente sostituiti. Fuori dal Palazzo ci sono milioni di persone a cui bisogna parlare in maniera chiara e con un profilo credibile.
Altro che minoritarismo: è un luogo comune smentito dai risultati di Syriza, Unidos Podemos e ora di Mélenchon. Anche in Italia dove siamo riusciti come a Napoli a coniugare unità tra partiti e movimenti e un leader di rottura con l’establishment i risultati sono stati ottimi.
Se lei fosse stato al posto di Mélenchon chi avrebbe votato?
Non sta a me votare al posto dei francesi. I nostri compagni in Francia hanno avuto posizioni diverse che rispetto. Al ballottaggio la scelta era tra peste e colera. Mélenchon ha fatto bene a evidenziare che la sinistra non ha nulla da spartire con il candidato iper-liberista Macron.
Semplicemente non siamo interessati a una “sinistra” come la propongono Pisapia e in maniera meno netta altri, cioè listoni che abbiano come obiettivo l’alleanza col Pd. Prima o dopo le elezioni.
Renzi è un avversario da combattere non uno da cui andare a mendicare un premio di coalizione. Pisapia propone un nuovo centrosinistra, noi una nuova sinistra alternativa al Pd.
Dunque vi rivolgete a Sinistra italiana. Che però dialoga con D’Alema e i suoi di Art.1.
A Bruxelles facciamo parte del Gue e del partito della sinistra europea. Partito a cui Si ha deciso di aderire al congresso, dichiarando chiusa l’esperienza con il centrosinistra. Ci sono le condizioni per un processo unitario. Magari con la modalità della “confluenza” nata nella Barcellona di Ada Colau: senza sciogliere i partiti tutte le organizzazioni fanno un passo indietro per farne due avanti in termini di partecipazione. Tergiversare mi sembra un grave errore politico.
Non vedo perché l’Italia debba essere l’unico paese europeo senza una formazione unitaria della sinistra antiliberista con dimensioni di massa. Noi non ci rivolgiamo solo a Si, ma a tutti i mondi che hanno costruito con noi l’esperienza dell’Altra Europa, a De Magistris, a Possibile, alle Città in comune, a Diem, al coordinamento per il No sociale, alle altre formazioni comuniste, a compagne e compagni attivi nei movimenti sociali. La sommatoria fra sigle non ha senso.
Ma non vi rivolgete a Art.1.
Senza fare l’esame del sangue a nessuno, i promotori di Art.1 sono stati fino a ieri dall’altro lato della barricata. E sono ancora nella maggioranza di governo. Che la sinistra antiliberista e pacifista possa essere diretta da D’Alema e Bersani mi sembra surreale. Qualsiasi programma antiliberista decente dovrebbe prevedere l’abrogazione di centinaia di provvedimenti che loro hanno promosso e votato.
Quindi a sinistra del Pd ci saranno almeno due liste?
Spero che ci sia una credibile lista della sinistra, quella che ho delineato. Non sono io che devo dire cosa devono fare gli altri. Magari se ci sarà il premio di coalizione Mdp sarà alleato del Pd. A noi invece interessa che ci sia un soggetto unitario alternativo al Ps e al Pse e alle politiche dell’Unione europea condivise da centrodestra e centrosinistra. Insomma ci interessa una soggettività simile a Unidos Podemos, a Syriza, alla Francia Ribelle. Dico a tutti, da Fratoianni a De Magistris, che è ora di darsi una mossa. Attendere la legge elettorale o saltare il giro non mi sembrano buone soluzioni.
La pregiudiziale anti Pisapia varrebbe anche nel caso in cui Renzi dicesse no?
Ma di cosa parliamo? Pisapia ha votato sì al referendum sulla Costituzione. Non è questione di persone ma di credibilità di un progetto politico. Noi siamo dei senza potere oscurati dai media: non siamo in grado di mettere pregiudiziali. Però non per questo andiamo in giro con il cappello in mano in cerca di un seggio. Pisapia non vuole una sinistra come Mélenchon. Noi facciamo parte del partito europeo di Mélenchon. Pisapia vuole allearsi col Pd di Renzi, noi no. Propone un nuovo centrosinistra, noi una nuova sinistra. Questi progetti di Pd 2.0 servono solo a procrastinare la costruzione di una sinistra radicale e popolare, alternativa al neoliberismo, indipendente dagli oligarchi dei media e della finanza.
Non ha paura della ridotta della sinistra?
In Europa le sinistre radicali non sono minoritarie. In tutta Europa c’è una sinistra come quella di cui parlo e ha dimensioni non trascurabili, in alcuni paesi ha superato gli ex-socialisti, in altri li ha letteralmente sostituiti. Fuori dal Palazzo ci sono milioni di persone a cui bisogna parlare in maniera chiara e con un profilo credibile.
Altro che minoritarismo: è un luogo comune smentito dai risultati di Syriza, Unidos Podemos e ora di Mélenchon. Anche in Italia dove siamo riusciti come a Napoli a coniugare unità tra partiti e movimenti e un leader di rottura con l’establishment i risultati sono stati ottimi.
Se lei fosse stato al posto di Mélenchon chi avrebbe votato?
Non sta a me votare al posto dei francesi. I nostri compagni in Francia hanno avuto posizioni diverse che rispetto. Al ballottaggio la scelta era tra peste e colera. Mélenchon ha fatto bene a evidenziare che la sinistra non ha nulla da spartire con il candidato iper-liberista Macron.
venerdì 5 maggio 2017
Il Venezuela non è un pranzo di gala
Il Venezuela non è un pranzo di gala
Pubblicato il 2 mag 2017 su
Marco Consolo (Dip. Esteri PRC)
Lo
scrittore uruguayano, Eduardo Galeano, lo chiamava il mondo al rovescio.
E di questo si tratta. La rappresentazione mediatica del Venezuela
bolivariano è un manuale della guerra asimmetrica e di terrorismo,
armato e psicologico. La narrativa internazionale dominante parla di una
feroce dittatura, di un governo che imbavaglia i media, che reprime a
destra e a manca e provoca morti, che affama la popolazione ed è
responsabile della scarsezza dei beni di prima necessità e medicinali,
che opprime e di cui bisogna liberarsi al più presto.
È il mondo al rovescio, appunto.
Gli
asini volano, gli uccelli sparano ai fucili, e le renne prendono le
redini della slitta con Babbo Natale per il prossimo tour. In Venezuela,
i padroni e la ristretta cerchia degli importatori senza scrupoli
imboscano i prodotti e fanno mercato nero, ma la colpa è del governo
affamatore. I “manifestanti pacifici” (ben armati ed addestrati dai
paramilitari colombiani) uccidono un poliziotto o qualche civile,
bruciano asili-nido, fanno sabotaggio, ma si tratta di un atto di
“legittima difesa”. I veri golpisti (del 2002 e non solo) accusano di
dittatore il legittimo Presidente costituzionale Maduro. Sono gli stessi
che, con i primi decreti del golpe, avevano abolito la costituzione.
Oggi se ne fanno scudo, senza averla né aperta, né capita davvero, un
po’ come con la bibbia di cui si dicono ardenti seguaci.
Gli assassini sono mascherati e rappresentati mediaticamente come colombe. I “good boys” sono fedeli all’insegnamento di Goebbels, il ministro della propaganda hitleriana: “La
propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità….
Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una
verità”.
Fake
news, le post-verità. Travestita da giornalismo indipendente ed
obiettivo, l’industria del falso è al servizio della guerra. Il tam-tam
virtuale della propaganda di guerra galoppa negli algoritmi dei
latifondi mediatici, soffia sul fuoco di una lotta di classe che si
acutizza, ed è materia incandescente.
L’ultimo braccio di ferro
L’ultimo
braccio di ferro tra i contendenti, c’è stato lo scorso 19 e 20 aprile
ed entrambi hanno raggiunto i loro obiettivi minimi.
Il
“chavismo” ha dato una nuova e potente dimostrazione della sua capacità
di mobilitare ed organizzare, nonostante i mille problemi quotidiani che
affronta la sua base sociale.
Gli
avvoltoi della destra hanno cercato (e trovato) i morti a tutti i costi
(da fare o da farsi fare con cecchini compiacenti, come nel golpe del
2002): servono per dare una immagine di un Paese sull’orlo del baratro,
dell’ingovernabilità, del caos, e a farla coincidere con quella che gli spin doctors
dei mass-media stanno disegnando dall’estero, con l’idea di riscaldare
l’ambiente per l’ingerenza esterna, già pienamente operativa.
Nei
due giorni di mobilitazione, nonostante gli sforzi, l’opposizione non è
riuscita a dare la “spallata finale”. Il golpismo ha bisogno di una
ulteriore escalation su vari fronti.
Sul
fronte di massa, deve mantenere un’attività di piazza abbastanza forte e
prolungata da presentare al mondo un quadro “ucraino”, ma ancora non ci
siamo.
L’opposizione
rischia un errore che può costarle caro. A differenza del gennaio 2002,
quando iniziarono ad accumulare forze per dare il golpe dell’11 aprile
(con l’appoggio statunitense e di diversi governi europei),
oggi sono ben lontani dal riuscire a mobilitare i numeri su cui
contavano nei mesi di preparazione del golpe di aprile. Perché ?
L’opposizione ha un grave problema, che non aveva nel 2002: è divisa al
suo interno, senza unità di criteri tattici e senza il controllo di
massa del passato. La destra “criolla” venezuelana (obbligata a stare insieme) è litigiosa per natura e questo gli impedisce di avanzare con una strategia solida.
Allo stesso tempo, la presenza di settori violenti e fascisti all’interno della Mesa de Unidad Democratica
(MUD), e che spesso ne dettano l’agenda, non favorisce certo
l’accumulazione di una massa critica sufficiente a mettere in scacco il
governo. Viceversa, questi settori si stanno logorando in una tattica “foquista”,
che disperde le forze e non può prolungarsi all’infinito, anche se i
dollari non mancano e si può reclutare la criminalità organizzata, come
già sta avvenendo.
Insieme
alla mobilitazione di piazza, la destra cerca di dividere le Forze
Armate, incitandole a ribellarsi, senza che fino ad ora si vedano
risultati, neanche parziali. Ma la cospirazione continua e sperano di
poter comprare qualche alto ufficiale, come nel passato.
In
questa fase, la destra ripete l’appello agli Stati Uniti a intervenire
militarmente (cosa che in Italia, negli Stati Uniti o in qualsiasi paese
occidentale sarebbe punito minimo con il carcere, per complicità con
una potenza straniera e tradimento alla Patria) e sembra dipendere da
decisioni esterne. Ma la probabilità immediata di un intervento militare
esterno non è chiara, anche perché l’imperialismo sa che in Venezuela
incontrerebbe una dura resistenza. Donald Trump, moderno dott.
Stranamore, non crede nel “soft power”
di Obama ed ha già attizzato il fuoco con i bombardamenti in Siria e
Afghanistan. Ma in Venezuela non si tratta solo di lanciare una batteria
di missili o una superbomba a migliaia di chilometri di distanza.
La dissuasione chavista
La
scommessa sul dialogo politico tra il governo e la MUD, con l’appoggio
di Papa Francesco e di alcuni ex-presidenti non è ancora persa del
tutto, anche se la pace sembra ancora lontana.
Ma con
questi venti di guerra, il messaggio dissuasivo che il “chavismo” invia
alle piazze e al mondo, è il suo rafforzamento militare e
l’organizzazione della Milizia popolare (il governo parla di 500.000
miliziani).
La Ministra degli Esteri colombiana, María Ángela Holguín,
ne ha parlato “preoccupata” con il Segretario Generale dell’ ONU e la
Corte Internazionale dei Diritti Umani si è espressa nella stessa
direzione. Ma non c’è da meravigliarsi per gli attacchi contro la
Milizia, che vengono sia da dentro, che da fuori del Paese. Non c’è cosa
che preoccupi di più lor signori e gli oligarchi, di un popolo ribelle ed in armi.
Oltre
alla mobilitazione della Milizia, la prova di forza della piazza si
somma ai fattori di dissuasione del processo bolivariano, nei confronti
di minacce esterne di intervento. Il ““chavismo”” può contare sulla gran
parte delle Forze Armate, nonché su di una forza miliziana con il
morale alto, disposta a combattere e che potrebbe crescere in un momento
critico. Come spesso ricordava il Comandante Chavez, è una importante
differenza col Cile di Allende del 1973. Per il resto, il Venezuela di
oggi è la fotocopia modernizzata di quella spirale che portò al golpe
cileno.
Il
“chavismo” non ha altra alternativa che mantenere presenza nelle piazze e
disputarle alla destra. Ma non c’è dubbio che, tra i talloni d’Achille,
vi sono la situazione economica e la mancata diversificazione
dell’economia, che pesano come un macigno sul processo bolivariano.
Inutile nascondersi dietro un dito.
La destra in un vicolo cieco
La destra,
da parte sua, punta sull’ingovernabilità mentre continua a costruire lo
scenario internazionale, tappeto su cui far marciare le truppe di
intervento in un ipotetico futuro. Siano esse armate, uni-laterali,
multi-laterali, mercenarie, paramilitari, diplomatiche o qualsiasi tra
le diverse opzioni che l’imperialismo ed i suoi alleati hanno utilizzato
nella storia. La Casabianca non scarta nessuna possibilità, dopo aver
dichiarato il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria alla sua
sicurezza”.
Sul
fronte diplomatico, l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) ha
rinverdito i suoi fasti golpisti da “ministero delle colonie” di
Washington, grazie al suo Segretario Generale, l’uruguaiano Luis
Almagro. Non perde occasione per alzare l’asticella della provocazione,
anche con veri e propri golpe all’interno dell’OEA, che ne evidenziano
la pratica e la volontà golpista. Colpito da una preoccupante sindrome
ossessiva contro il Venezuela, Almagro è la cerniera tra i voleri di
Washington ed i governi della destra continentale.
Solo
negli ultimi giorni ci sono stati prese di posizione “contro la
repressione” del Perù e del Costa Rica, ed una nuova dichiarazione di
“preoccupazione” del Dipartimento di Stato. Dal canto loro, i cosiddetti
governi di centro-sinistra (Cile ed Uruguay, ma anche quello italiano)
seguono le stesse direttive dell’impero, alleandosi con la destra
cavernicola e sperando in futuri dividendi politici.
Qualche giorno fa, da Bogotá, El Tiempo (della famiglia del Presidente Santos) si è occupato di Venezuela in un suo velenoso editoriale: “È
da tempo che le linee rosse hanno iniziato ad incrociarsi
pericolosamente in Venezuela. Ma quello che è accaduto questo 19 aprile,
quando Nicolás Maduro ha represso ancora una volta brutalmente le
proteste contro il suo governo di migliaia di persone a Caracas ed altre
città del Paese, e ha liberato i suoi gruppi paramilitari conosciuti
come i ‘colectivos’, per fare attaccare e intimidire la popolazione
inerme, passerà alla storia come il giorno in cui il governo ha perso il
senno, per porsi in un punto di non ritorno. La dittatura è caduta
addosso ai Venezuelani”.
Il
mondo al rovescio, appunto, con la destra reazionaria colombiana che
pretende di dare lezioni di rispetto dei diritti umani. Un Paese dove si
è consumata (e si consuma) una guerra civile da più di mezzo secolo,
dove la repressione ed i troppi massacri hanno costretto l’opposizione a
prendere le armi e trasformarsi in guerriglia per non farsi
semplicemente sterminare. Dove la violenza è stata storicamente lo
strumento per l’accumulazione originaria e la guerra ha prodotto più di 6
milioni di sfollati. Dove, secondo la Defensoria del pueblo,
negli ultimi 14 mesi sono stati assassinati 120 difensori dei diritti
umani, e ci sono stati 33 attentati contro dirigenti sociali. Dove
traballa il processo di pace con le FARC, visto che il governo non
rispetta gli accordi di pace. Da dove solo nel 2017, sono scappati circa
30.000 colombiani verso la “dittatura” del Venezuela, che si aggiungono
ai 5,6 milioni già nel Paese.
Sul versante dell’impero, l’attacco è affidato al New York Times: “Nei
giorni scorsi, il Presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha ordinato
di disperdere le moltitudini di manifestanti che protestano nel suo
paese, con una pioggia di proiettili di gomma e gas lacrimogeni che gli
agenti delle forze di sicurezza tiravano dagli elicotteri. Il governo ha
anche utilizzato miliziani vestiti da civili per disanimare i
manifestanti con l’obiettivo di farli desistere dal protestare nelle
strade”. L’immaginazione al/del potere.
L’editoriale del NYT mette a nudo (e sotto tutela) le divisioni della destra: “…
il governo di Maduro ha avuto un successo considerevole in altri
momenti di agitazione… Ma questa volta, potrebbe essere diverso, se i
gruppi oppositori si mettono d’accordo su una lista di obiettivi
concreti e stabiliscono una strategia chiara per affrontare i problemi
del Paese con l’aiuto della comunità internazionale”.
Il NYT conosce bene i suoi polli, o meglio i suoi “troppi galli nel
pollaio”. Sono litigiosi, non si mettono d’accordo, e sono tutti a
carico del contribuente statunitense, senza risultati alla vista. È il
problema principale e storico dell’opposizione e per risolverlo non sono
serviti né i dollari, né i consigli degli abbondanti “consiglieri” di
Washington.
Fa capolino ancora il fantasma della violenza e su questo cammino non c’è più ritorno. La destra è in un vicolo cieco: non
gli interessa né il referendum revocatorio, né convocare elezioni, né
tantomeno sanare l’illegalità dell’attuale Parlamento (con deputati
dell’opposizione eletti grazie ai brogli). Il suo obiettivo è creare un
conflitto che la porti alla presa del potere, al di fuori della
costituzione e delle attuali leggi. Perché in uno Stato di diritto non
può privatizzare PdVSA, l’impresa petrolifera di Stato, non può
cancellare i contratti che creano imprese miste con la Russia, la Cina,
l’Iran, Cuba, etc., né tornare ai “bei tempi”, in cui le multinazionali
statunitensi pagavano la ridicola cifra dell’1% in royalties
petrolifere.
Per
far questo, nel 2002, il decreto golpista del Presidente della
Confindustria locale, Pedro Carmona (ribattezzato popolarmente “Pedro il
breve”, per la durata di poche ore del golpe) puntava proprio a quello:
abolire la Costituzione e tutti i poteri istituzionali. Gli attuali
dirigenti della destra vendepatria
cercano di assaltare la diligenza, per poi ricevere le cospicue
tangenti che le multinazionali del petrolio sono disposte a pagare per
controllare PdVSA e la Fascia Petrolifera dell’Orinoco (con le più
grandi riserve mondiali provate), e infine godersi la pensione in
qualche Paese del “primo mondo”. Meglio se a Miami, dove sono di casa.
Fino a dove potranno arrivare senza ottenere rapidamente i risultati sperati ? Per
ottenere questo, bisogna sbarazzarsi della Costituzione, delle leggi,
del governo, del Tribunale Supremo di Giustizia, della Procura della
Repubblica, etc. Al momento, l’unica maniera di riuscirci è attraverso
un governo fantoccio nominato dopo una invasione.
Con visione profetica, el libertadorSimón Bolívar sosteneva già nell’agosto del 18291 che “…gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l’America di miseria in nome della libertà”.
DOCUMENTO 2083, DE UNA COPIA DE LETRA DE URDANETA, O.C.B., CARTA DEL LIBERTADOR SIMÓN BOLÍVAR AL CORONEL PATRICIO CAMPBELL, FECHADA EN GUAYAQUIL, 5 DE AGOSTO DE 1829, DÁNDOLE GRACIAS POR SUS BUENOS SENTIMIENTOS Y LE ANUNCIA SU RENUNCIA AL MANDO SUPREMO EN EL PRÓXIMO CONGRESO CONSTITUYENTE.
Donbass, Acerbo (Prc): «Orgogliosi per attacchi ricevuti da ambasciata Ucraina, orgogliosi della nostra delegazione, con l’eurodeputata Eleonora Forenza, in questi giorni in Donbass per costruire ponti di pace»
Pubblicato su http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=28964 il 3 mag 2017
Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dichiara:«L’ambasciata d’Ucraina in Italia in una nota attacca la delegazione di Rifondazione Comunista che con la Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti sta visitando le repubbliche del Donbass per una missione di pace e solidarietà. Ci riempie d’orgoglio essere oggetto di attacchi da parte di un governo anticomunista che ha approvato vergognose leggi liberticide e ha riabilitato e celebrato i complici dei crimini nazisti. Siamo orgogliosi che sia una nostra compagna, Eleonora Forenza, la prima parlamentare europea a visitare le regioni sotto attacco da parte del governo di Kiev e dei paramilitari nazifascisti. Purtroppo è vero quel che scrive l’ambasciata: la nostra presenza è in contrasto con l’orientamento del governo italiano, dell’UE e della NATO che fanno finta di non vedere quali caratteristiche pericolose abbiano i gruppi di potere che stanno supportando sul piano politico, economico e militare. E’ assurdo invece che l’ambasciata d’Ucraina lamenti violazioni del loro codice penale in quanto noi siamo già dei fuorilegge per quel governo filonazista. Infatti in Ucraina i comunisti sono stati messi al bando ed è vietato persino sventolare una bandiera rossa o cantare l’Internazionale.
La nostra delegazione è in Donbass per costruire ponti di pace rifiutando la logica della nuova guerra fredda e del riarmo che ha condotto all’escalation del conflitto armato in Ucraina.
Per favorire un processo di pace chiediamo al governo italiano di riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e di porre fine alle sanzioni economiche alla Russia».
Nota: nella foto, sullo striscione, compaiono i simboli del nostro partito, Rifondazione Comunista, e del partito Боротьба (pronuncia "Borotbà", all'incirca, in Ucraino "Lotta"), un partito marxista ucraino)
mercoledì 3 maggio 2017
Primo maggio 2017 a Brescia
La sfilata completa del doppio corteo dei sindacati storici, seguito a distanza dal corteo alternativo, ripresa dal bordo di via Gramsci, sulla piccola rampa che sfocia in Piazza Vittoria. A destra dell'operatore si trova Piazza del Mercato, dove è in corso il comizio di Lotta Comunista, comizio che fa da sfondo sonoro continuativo alla sfilata del corteo:
lunedì 1 maggio 2017
Sul risultato di Mélanchon alle presidenziali dii Francia
"L'exploit della 'Francia ribelle' di Melenchon è l'unico segnale positivo in queste elezioni". Intervento di Maurizio Acerbo
Il risultato del nostro compagno Jean Luc Melenchon è storico. Il
candidato a sinistra del Partito Socialista non aveva mai preso una
percentuale così alta. L'entusiasmante campagna di Melenchon dimostra –
dopo Grecia, Spagna e Portogallo - che la sinistra antiliberista e
anticapitalista in Europa non è condannata al minoritarismo, anzi è
l’unica sinistra credibile ormai sulla scena.
Condividendo con
Jean Luc Melenchon e i partiti che lo hanno sostenuto la comune
appartenenza al Partito della Sinistra Europea e al gruppo parlamentare
del GUE/NGL continueremo a lavorare con loro per la costruzione di
un’alternativa in Europa. Il risultato francese ci incita a insistere
nella nostra proposta di costruzione di un soggetto unitario della
sinistra che abbia però come la campagna di Melenchon un profilo di
netta rottura, un programma radicale e un linguaggio chiaro e
comprensibile che possa raccogliere un consenso popolare vasto e
soprattutto suscitare impegno e militanza. Invitiamo le altre formazioni
della sinistra alternativa al PD a mettersi a disposizione perché
l’Italia è diventata l’unico paese in Europa dove manca una sinistra
antiliberista forte, visibile, popolare.
L'exploit della 'Francia ribelle' di Melenchon è l'unico segnale
positivo in queste elezioni. Al ballottaggio i francesi dovranno
scegliere tra la peste e il colera. Tra la destra xenofoba e fascista e
un banchiere liberista sostenuto dal grande capitale finanziario, dalle
multinazionali e dalla Confindustria francese.L'austerità neoliberista provoca la crisi dei partiti che hanno sostenuto le politiche antipopolari e brucia i leader in breve tempo. I socialisti si riducono al minimo storico dopo la disastrosa esperienza del governo Hollande. Ma l'operazione Macron, come quella intorno a Renzi 3 anni fa, mostra che l'egemonia neoliberista è ancora forte e le classi dominanti reinventano continuamente nuovi personaggi da lanciare nello spettacolo.
L'appello di Jean-Luc Mélanchon alla vigilia del voto del 23 aprile
Con la forza del popolo, tutto è possibile!
Signora, signore, Cittadina, cittadino,Conosco la vostra rabbia. Voglio esserne la voce progressista e umanista.
Dobbiamo separare la Repubblica dalle
lobby che minacciano l'ambiente e la nostra salute, interrompere
l'onnipotenza della finanza, abolire la monarchia presidenziale e i
privilegi della casta che dirige tutto. È il momento di ridiventare
un popolo sovrano e indipendente, liberato dai trattati europei e
dalle alleanze militari guerrafondaie.
La
6a Repubblica
Sarò l'ultimo Presidente della 5a Repubblica. Appena eletto,
convocherò un'assemblea costituente per scrivere una nuova
costituzione. Questa assemblea comprenderà un ugual numero di donne
e di uomini. Essa sarà composto da delegati mai eletti nelle
assemblee precedenti e da cittadini scelti con sorteggio. Essa
ricostruirà dalle fondamenta tutta l'organizzazione della nostra
democrazia. Sarà la fine della monarchia presidenziale.Propongo di instaurare il diritto di revocare un eletto anche nel corso del suo mandato, compreso il Presidente della Repubblica. O voi sarete soddisfatti della mia azione o mi manderete a casa prima della fine del mio mandato!
Sarà un cambiamento democratico epocale con nuovi diritti civili: il diritto di voto a 16 anni, il voto obbligatorio e il riconoscimento proporzionale del voto in bianco. Ci saranno anche nuove conquiste di libertà personali con la tutela costituzionale del diritto all'aborto o il diritto al suicidio assistito per essere padroni di sé in tutte le circostanze.
Naturalmente, mentre l'Assemblea
costituente farà il suo lavoro, il programma per il quale sarò
stato eletto sarà messo in atto.
Condividere
la ricchezza
Sarò il
presidente “sociale”, avendo per programma lo
sradicamento della povertà e della disoccupazione. La Francia non è
mai stata così ricca nella sua storia: noi siamo il paese con il
record europeo per il numero di milionari e per il versamento di
dividendi agli azionisti. Ma la ricchezza è ripartita troppo male.
La gente deve riprendersi la sua quota rispetto alla finanza.Intraprenderò la rivoluzione fiscale per abbassare le tasse a tutti coloro che guadagnano meno di 4.000 euro netti al mese e per ristabilire la giustizia fiscale.
Organizzerò la ripartizione del tempo di lavoro, con la generalizzazione di una 6a settimana di ferie pagate e con l'aumento della maggiorazione per gli straordinari al di là delle 35 ore a settimana.
Aumenterò di 175 euro netti al mese il salario minimo e di 200 euro le pensioni basse. Le PMI vi troveranno il loro tornaconto: portafoglio ordini pieno, calo di imposta sulle società, tasso di sconto allo 0% e soppressione della Cassa Sociale Indipendente.
Abrogerò
la legge El Khomri che
precarizza i salari e facilita i licenziamenti. Ristabilirò il
diritto di alla pensione a 60 anni con 40 anni di contributi. La
parità salariale fra donne e uomini permetterà finanzierla.
La
pianificazione ecologica
Sarò il presidente ambientalista di fronte alla sfida del clima e
ai pericoli che gravano sul'ecosistema. Usciremo dalle energie del
nucleare e del carbone per raggiungere il 100% di energie rinnovabili
entro il 2050.Aiuteremo i nostri agricoltori di farla finita con l'agricoltura chimica e gli allevamenti industriali: il mio governo organizzerà il 100% di agricoltura biologica nella ristorazione collettiva e vieterà la crudeltà verso gli animali.
La
pianificazione ecologica sarà
è al cuore
del rilancio
dell'attività economica. La metà del piano di 100
miliardi di euro di investimenti pubblici previsti saranno impegnati
lì. Il rilancio ecologico creerà la maggior parte dei 3 milioni di
posti di lavoro che il mio programma permette.
Il
progresso umano innanzitutto
Sarò il presidente del progresso umano.
Il denaro non deve determinare l'accesso ai saperi, alla cultura e
allo sport. Ne voglio liberare la creazione e la diffusione facendo
sì che lo stato ne sia un grande promotore.Estenderò l'istruzione obbligatoria dai 3 ai 18 anni. Renderò la scuola veramente gratuita, compresi i libri, le attività extrascolastiche e la mensa, biologica al 100%.
Permetterò a ciascun giovane di formarsi con una indennità di autonomia di 800 euro al mese (fin dai 16 anni nell'instruzione professionale). Noi sopprimeremo le tasse di iscrizione all'università.
Per
garantire il diritto alla salute, le
cure
prescritte
saranno rimborsate al
100% dalla sicurezza sociale. Raddoppierò il numero di
centri di salute per colmare i vuoti dell'assistenza medica.
Uscire
dai trattati europei
Sarò il presidente di una Francia
ribelle in Europa e nel mondo. Essa libererà il popolo
francese ed i popoli d'Europa dai trattati europei e dagli accordi di
libero scambio che li obbligano a sbranarsi fra loro.Instaurerò un protezionismo solidale per riportare in loco le produzioni ed i posti di lavoro.
Proibirò in Francia lo statuto
europeo dei lavoratori distaccati. Ritirerò la firma della Francia
sull'accordo di libero scambio con il Canada (CETA) e mi opporrò a
quello con gli Stati Uniti (TTIP).
Per
l'indipendenza della Francia e per la pace
Sarò il presidente della
pace. Sono inquieto
vedendo crescere la guerra nel mondo e in Europa. Usciremo dalla NATO
per non essere trascinati nelle guerre degli Stati Uniti.
Costruiremo
una nuova alleanza di paesi non allineati, lavorando per
la pace e solo nel quadro dell'ONU.
La
Francia alle frontiere dell'umanità
Enfin, sarò il presidente che impegnerà
la Francia negli
avamposti dell'umanità,
in mare, nello spazio e sulla rete digitale. Si tratta di sfide
collettive immense, alle quali il nostro popolo può far fronte
mobilitando le competenze e l'energia inesauribile degli addetti, gli
operai, i tecnici, gli ingegneri che costituiscono l'orgoglio del
nostro paese.Il mondo entra in una stagione di tempeste. È l'ora delle persone di carattere. A 65 anni, non mi sto organizzando una carriera. Mi assumo una missione: restituire la Francia al popolo, liberandola dalla presa dell'oligarchia, restituire la Repubblica alla Francia abolendo la monarchia presidenziale.
Io sono parte del popolo. Questo popolo francese, per il quale la felicità è di poter lavorare e vivere del proprio lavoro. Di potersi prendere cura dei suoi e di se stesso. Di potersi istruire, di farsi una cultura, di praticare le arti. Di potersi divertire, di fare sport. Di poter trascorrere giornate piacevoli, in sicurezza, ovunque. Questo popolo che trae dai suoi principi repubblicani e laici, la forza di una lotta senza tregua per sconfiggere il fanatismo criminale dei terroristi.
Io sono parte del popolo. Di questo popolo francese che non è indifferente alla sorte degli altri, che non accetta la miseria, le discriminazioni, le ingiustizie. Di questo popolo che rispetta le leggi, paga le tasse, fa in modo di essere fatto da buoni cittadini. Questo popolo che non ne può più dgli "affari" e degli "scandali",
La nostra intelligenza collettiva può superare qualsiasi difficoltà, se mettiamo tutto al servizio del bene comune. Il motto della nostra Repubblica, "Libertà, Uguaglianza, Fraternità", stabilisce la nostra rotta. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità non solo per noi stessi, ma davanti all'umanità intera. Io sono pronto. Anche voi lo siete, io ho so.
Con la storia della Francia in testa, con la forza del popolo nel cuore, servirò il paese con onore e fidélité.
Con la forza del popolo, tutto è possibile!
Jean-Luc Mélenchon
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